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Avvocato Angela Taccia, difensore di Andrea Sempio, indagato dopo 18 anni per la morte di Chiara Poggi, partiamo da un fatto tecnico: la consulenza che attribuisce al suo assistito l’impronta sul muro della cantina di casa Poggi era coperta da segreto?
Assolutamente sì. Oltretutto, guarda che caso, è stata pubblicata da tutti i giornali due ore dopo che abbiamo depositato la nostra eccezione di nullità dell’invito a comparire. Una roba allucinante.
Non aveva ricevuto una notifica del deposito dell’atto?
Abbiamo ricevuto la pec verso le 18, quindi dopo la sua pubblicazione, avvenuta peraltro in modo impreciso.
Si riferisce al dettaglio del sangue?
Esatto. Ho letto una dichiarazione dei carabinieri che la definiva proprio così, insanguinata. E per tutti, allora, Sempio è automaticamente l’assassino. Stiamo subendo un'aggressione mediatica assurda. Inoltre il mio profilo social è privato, il post che ha fatto scalpore in qualche modo è stato “rubato” e pubblicato ovunque, senza chiedere la mia autorizzazione. Ma è un proverbio ed io pubblico tutti i proverbi che voglio sul mio profilo privato.
Pensa di essere sotto attacco?
Ieri, mentre ero in Tribunale per altre udienze, i giornalisti sono stati molti insistenti dicendomi che mi avrebbero lasciata in pace solo se avessi rilasciato loro una dichiarazione. Ho detto ok, pur di farmi lasciare in pace, però non avevo ancora letto la consulenza: non è che potessi dire chissà che cosa, anche per rispetto del segreto istruttorio. Mi hanno chiesto di giustificarmi per quel post, ma io non ho nulla da giustificare: ho sempre usato quel proverbio dagli esami dell'università e mai come adesso è pertinente. Poi me li sono ritrovati davanti casa e studio.
Si sente in guerra?
Io non ce l’ho con nessuno, in procura sono stati gentilissimi, ma come si fa a dire che non siamo in guerra? Certo che lo siamo. I penalisti devono salvaguardare tutti i principi cardine del diritto e se loro giocano sporco noi non lo facciamo. Io seguo il codice come la Bibbia e pubblico tutte le foto coi cuoricini che voglio. Però, ovviamente, è un gioco di ruoli. È una situazione invivibile. Hanno colpito tutti: i legali dei Poggi, il generale Luciano Garofano (ex generale del Ris di Parma, colui che fece i sopralluoghi dopo il delitto e poi consulente di Sempio, ndr), con un'eccezione di ricusazione del consulente di parte per la quale ci vuole coraggio, e ora me. Pensano di potermi rovinare perché sono giovane, ma io non mollo questo caso. Non mollo un innocente e non lo farei nemmeno per un colpevole, altrimenti che avvocato sarei? Ho fatto un giuramento e lo rispetto.
Al di là della consulenza, ci sono anche altri elementi: i diari, ad esempio, e quelle frasi… Come le spiega?
È aberrante. Sarà che sono giovane, ma mi vengono i brividi a vedere che sui giornali ci sono frasi estrapolate da quaderni sequestrati. Ovviamente sono state pubblicate solo quelle brutte, tralasciando le pagine dove racconta quello che fa, quelle in cui si dice deluso da se stesso perché non riesce a raggiungere gli obiettivi, anche professionali, che si era prefissato. Quelle in cui dice: non capisco perché se la prendano così con me che non ho avuto mai problemi con la giustizia. Quelle in cui si chiede: perché si accaniscono contro di me? È giusto che facciano le indagini, ma perché mettermi nella gogna mediatica? Ecco, queste pagine non le ho lette.
Secondo gli inquirenti ci sono dei collegamenti con il caso Poggi: ha scritto «ho fatto cose molto brutte».
È una frase decontestualizzata e strumentalizzata, appositamente per creare il mostro da dare in pasto all’opinione pubblica.
C’è una spiegazione alternativa?
Certo. Perché sono inserite in un contesto in cui parla di obiettivi non raggiunti, del fatto di non riuscire a trovare una ragazza che apprezzi non solo le parti belle, ma anche quelle oscure. Che non vuol dire chissà che: tutti abbiamo una parte oscura e anche io all’università prendevo le gocce per dare gli esami, ma non sono per questo una potenziale omicida.
Sempio sta subendo lo stesso trattamento di Stati all’epoca: subito mostrificato.
E ora di colpo ridiventa santo, anche solo per il fatto di essere arrivato puntuale in procura, mentre quei brutti cattivi degli avvocati di Sempio hanno avvisato all’ultimo minuto. Ma lei lo sa che per depositare quella memoria con l’eccezione di nullità ho dovuto sudare sette camicie? Il portale telematico si era bloccato. Ma abbiamo fatto comunque il nostro dovere inviando tutto anche via pec, per sicurezza.
E Sempio come reagisce a questa gogna?
Prima era più sereno, adesso è preoccupato. Non dal punto di vista giuridico: teme per la sua incolumità. Ha dovuto cambiare casa, i suoi genitori sono assediati dai giornalisti, bada alle zie, al lavoro, ha paura che a furia di notizie false come le impronte insanguinate la solidarietà che prima ha ricevuto si trasformi in odio.
Oggi si parla delle ricerche su internet relative a Stasi.
Ma le ricerche su Stasi le ho fatte anch'io. Sono tutte cose che vengono interpretate in malam partem.
Gli elementi in mano alla procura, allora, sono deboli?
Io ho questa sensazione. E forse proprio perché si tratta di un’indagine debole c’è questo circo mediatico.
Pensa che stiano tentando di farlo crollare?
Probabilmente. Ma come non c’era niente nella prima indagine, non c’è niente nemmeno adesso. L’obiettivo è riscrivere la storia.
Lei crede che Stasi sia colpevole?
Io rispetto le sentenze passate in giudicato. Non ho seguito personalmente quei processi perché ero ancora all’università, però leggendo quelle sentenze, da avvocato, ci sono delle cose che effettivamente non mi convincono più di tanto. Se la condanna deve arrivare al di là di ogni ragionevole dubbio, questo non è il caso. Però non so se posso definirlo innocente: il suo racconto non regge. Però io mi occupo di Sempio: mi spiace per la gogna mediatica che ha passato anche Stasi, come per chiunque altro, ma il mio assistito è un altro. Ma possiamo parlare del diritto di cronaca?
Certo.
Ecco, diciamo che ha un po’ rotto come scusa. Ci sono dei requisiti ben definiti tra cui la veridicità della notizia, ma l'ordine dei giornalisti pare non esserci. Mentre io vengo minacciata di segnalazioni all’ordine per un proverbio e perché sono amica di Sempio.
Vogliono farlo davvero?
Non mi curo delle opinioni dei leoni da tastiera e di tutti coloro che non mi conoscono direttamente. Io ho la coscienza pulita, conosco a memoria il codice deontologico, perché ci ho passato le notti sui libri.
Sempio verrà interrogato?
No, la procura ha detto che non vuole più sentirlo, dopo che la consulenza è finita sui giornali. E allora perché l'avevano convocato? Alcuni colleghi mi hanno detto che siamo stati scorretti, che poteva presentarsi e avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma perché io dovrei presentarmi se gli inviti a comparire mancano dei contenuti fondamentali? Non devo sanarlo io il vizio di nullità, oltretutto per farlo andare lì, nella tonnara di giornalisti, per poi farlo rimanere in silenzio. Dovevo proteggerlo da quell'orda di giornalisti fuori dal tribunale, tra cui non poteva mancare Fabrizio Corona.
E lui non ha intenzione di farsi sentire?
Se vorrà farlo certamente. Ma non prima della discovery degli atti, altrimenti saremmo dei pazzi. Qui ogni giorno escono fuori cose non corrispondenti al vero.
Ma la consulenza dice qualcosa di interessante o no?
Nulla. È tutto molto fumoso: si limita ad attribuire l’impronta sul muro a Sempio, perché ci sono 15 minuzie, ma non bastano affinché un impronta sia definita utile giuridicamente, oltre che dattiloscopicamente. Utilità dattiloscopica e utilità giuridica sono due concetti diversi.
Non ne bastano 12?
E no. La Cassazione dice almeno 16. Ma poi, chi se ne frega se c’è un’impronta di Sempio: era in quella casa spessissimo, frequentava tutte le stanze e qualche volta sono andati giù in cantina a prendere dei giochi da tavolo che Marco Poggi teneva riposti in mobili vecchi. Oltretutto, su quel muro, appena sotto questa fantomatica impronta 33 di Sempio, c’era anche l’impronta di Marco Poggi. Arriveranno a dire che c’entra anche il fratello?
Ma c’è un altro tema: quello dello scontrino del parcheggio. Perché tirarlo fuori durante un interrogatorio?
Innanzitutto, è stato già appurato, non una, ma due volte, che non ha nessuna rilevanza, date le due archiviazioni precedenti. Ma non è mai stato un alibi: Sempio non si è mai giustificato portando questo scontrino dai carabinieri. Un anno e mezzo dopo i fatti, i carabinieri gli hanno chiesto per la prima volta cosa avesse fatto quella mattina. Lui disse di essere andato a Vigevano.
La cella del cellulare era però agganciata a Garlasco.
Come ha spiegato l’ingegner Reale, ai tempi le celle si agganciavano solo in caso l’apparecchio ricevesse una chiamata o un sms. Mentre si trovava a Vigevano non ne ha ricevuti. I carabinieri gli hanno dunque chiesto qualcos'altro che dimostrasse la sua presenza lì e lui si ricordò che i genitori, pulendo la macchina, trovarono quello scontrino. Lui uscì e tornò con lo scontrino, ma i carabinieri non interruppero il verbale, aggiungendo solo poi che esibiva lo scontrino. Ma ci sono i testimoni di come sono andate le cose.
Ma perché conservarlo?
Perché la madre, che lavorava negli anni ’80 in un carcere di massima sicurezza femminile, era solita conservare tutto per sicurezza, nel caso accadesse qualcosa. Così, quando avvenne l’omicidio, pensarono di tenerlo, nel caso potesse servire. Tutto qua.