Ecco un altro paradosso, scherzo e quant’altro di questa campagna elettorale un po' pazza, e non solo inedita nella sua versione estiva, come tutta la legislatura dalla cui interruzione è nata. Con la sua gaffe - a dir poco- sulle “doverose” dimissioni di Sergio Mattarella prima del compimento del mandato in corso se dovesse essere approvata la riforma presidenzialista della Costituzione proposta dal centrodestra Silvio Berlusconi ha aiutato Pier Ferdinando Casini a ottenere dal Pd la ricandidatura al Senato come una specie di guardiano della Costituzione minacciata, assaltata e via discorrendo dall’ex presidente del Consiglio.

Sentite che cosa ha scritto Enrico Letta all’edizione bolognese del Corriere della Sera, rivolgendosi praticamente agli insofferenti organi locali del partito, prima di riunire la direzione nazionale per varare appunto le candidature nel giorno di un Ferragosto di fuoco, col sangue metaforicamente grondante sulle pareti come accadeva alla direzione della Dc in analoghe circostanze elettorali, o quando si dovevano varare le lunghe liste dei sottosegretari ad ogni cambio di governo. “E’ possibile, non probabile ma possibile, che nella prossima legislatura - ha scritto Enrico Letta rinverdendo le polemiche sulla sortita di Berlusconiche nella prossima legislatura si tenti un assalto alla Costituzione da parte della destra”, in “un disegno nefasto, da sventare”, per quanto Berlusconi abbia cercato di precisare, ridimensionare e altro le sue parole, e persino i suoi alleati ne abbiano prese le distanze.

“Credo in questo senso che la voce di Casini - ha scritto ancora il segretario del Pd , consapevole dei sacrifici già imposti a tante aspirazioni dalla riduzione dei seggi parlamentari potrebbe dare un contributo importante e utile ad allargare il sostegno intorno a noi e a rendere più efficace il nostro compito a tutela della Costituzione…. contro ogni torsione presidenzialista”. E così al buon Casini, un veterano ormai del Parlamento, pur a soli 66 anni compiuti e portati peraltro magnificamente, Berlusconi ha finito per dare una mano inconsapevolmente riparatrice alla non felice sorpresa fattagli nell’ultima corsa al Quirinale. Allora l’ex presidente del Consiglio prima si candidò personalmente, poi “rinunciò” rendendosi conto che i numeri erano diversi da quelli originariamente immaginati, poi ancora scartò l’ipotesi di appoggiare Casini, avvertito da molti nel centrodestra come un “traditore”, infine si unì ai sostenitori della conferma di Mattarella.

Fra gli effetti dello scivolone - ripeto- di Berlusconi compiuto prospettando le dimissioni del presidente in carica nel caso di approvazione di una sua elezione diretta, da parte del popolo e non del Parlamento, quello della mano a Casini a sua insaputa per un ritorno al Senato sarà importante, per carità, per lo stesso Casini sul piano personale ma meno rilevante, sul piano politico, di altri. Fra i quali eccelle, a mio avviso, l’apertura difensiva fatta da Giorgia Meloni a percorsi alternativi a quello da lei proposto per approdare al presidenzialismo: in particolare, ricorrendo non alla revisione prevista dall’articolo 138 della Costituzione ma ad un’Assemblea Costituente. Che sarebbe più indicata, anche se non è imposta dalla carta costituzionale, per una revisione così incisiva e complessa come l’elezione diretta del presidente della Repubblica, produttrice in pratica di un altro sistema istituzionale e comportante la ridefinizione compensativa di tanti altri articoli diversi dall’ottantatreesimo: quello che affida appunto l’elezione del capo dello Stato al Parlamento “in seduta comune dei suoi membri e con la partecipazione di “tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze”, salvo per la Valle d’Aosta” avente “un solo delegato”. Una parte, questa dell’articolo 83 della Costituzione, che avrebbe dovuto essere modificata in contemporanea con la nuova composizione delle Camere imposta dai grillini ai loro alleati di turno, prima di destra e poi di sinistra. Con un terzo in meno dei seggi elettivi del Parlamento la rappresentanza delle regioni con tre delegati ciascuna, eccetto la Valle d’Aosta, è di uno sbilanciamento, direi, sfacciato.

Ma questa è solo una delle eredità del MoVimento attorno al quale è ruotata la legislatura fortunatamente interrotta, almeno sotto questo profilo, al netto degli altri danni procurati dalla crisi del governo presieduto dall’italiano più autorevole nel mondo, senza offesa per Mattarella. Cui spetta d’altronde il merito di avere chiamato Mario Draghi in servizio come presidente del Consiglio quando il ricorso anticipato alle urne gli apparve impraticabile per la pandemia e le emergenze connesse.