Il linguista appena scomparso rappresenta bene una temperie culturale, politica e morale che va, via via, scomparendo: quella temperie in cui lo studio è al servizio del cambiamento. La sua traduzione di Ferdinand de Saussure ha rilanciato lo studio della linguistica in Italia.

Forse ad alcuni sembrerà un paragone esagerato. Ma Tullio De Mauro è stato, per alcuni versi, il nostro Marx e il nostro Freud. Il Marx e il Freud dello studio e dell’amore per la lingua: era infatti convinto che un buon uso, nel nostro caso, dell’italiano fosse la base unica e insostituibile per avere anche una società migliore. Una società più giusta, più equa. Una società anche più ricca: «Spiriti illuminati - scrive De Mauro - dovrebbero trarre la conclusione che lo spostamento di risorse pubbliche e private verso l’istruzione è un buon investimento anche ai fini del- lo sviluppo economico di una società».

In questo senso il linguista appena scomparso a 84 anni rappresenta bene una temperie culturale, politica e morale che va, via via, scomparendo: quella temperie in cui lo studio è al servizio del cambiamento. Non è mera registrazione dei fatti, ma è spinto sempre e comunque dall’utopia che il mondo possa e debba cambiare. Marx pensa - che si sia o meno d’accordo con la sua teoria - che le classi sociali non siano un assoluto immutabile, ma qualcosa che va criticato e ribaltato, ridisegnando i confini dell’uguaglianza e del rapporto tra gli esseri umani. Freud dice la stessa cosa, ma si riferisce al singolo, al suo stare al mondo. Anche l’individuo può cambiare, sfidare se stesso e diventare altro. De Mauro, che rilancia gli studi di linguistica diventando un protagonista internazionale della disciplina, è come se, diversi decenni dopo, si muovesse nella stessa lunghezza d’onda: il rigore scientifico - nel suo caso assoluto - è posto al servizio dell’utopia di un mondo migliore, di una società che si fa e si migliora attraverso la lingua. Il suo impegno politico concreto e la sua attività universitaria - alla Sapienza di Roma insegna dal 1974 al 2004 - sono come la conseguenza di questa sfida intellettuale che fino all’ultimo traspare dalle sue lezioni e dichiarazioni. Non è solo o tanto un’ideologia, ma uno stile di vita, un modo di guardare la realtà.

La sua Storia linguistica dell’Italia unita è un longseller che ha avuto quindici riedizioni. L’ultima poco tempo fa: una storia delle classi sociali attraverso la lingua. Ma tra le sue opere che hanno segnato la storia della linguistica e della cultura italiane ( e non solo) c’è la traduzione del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure, corredato da un importante commento storico- interpretativo. Siamo alla vigilia del movimento del ‘ 68 e il saggio ha la stessa potenza destrutturante rispetto allo studio della lingua, dei segni e della critica testuale ( letteraria, cinematografica, pittorica, etc...). La parola chiave è il segno che mette insieme la realtà e il modo che abbiamo di nominarla. Nulla in questa struttura così definita - da qui la nascita della corrente detta strutturalismo - è però immutabile: tutto è mobile, cambia con il cambiare dei costumi. La nuova fortuna del saggio di De Saussure, uscito la prima volta postumo nel 1916, dà avvio alla disciplina della semiologia. Sono anni in cui si sprecano le analisi, i saggi, le riflessioni e le dispute. Il segno di De Mauro è però quello di stare sempre connesso con la società, con ciò che accade alla lingua parlata, a quel “testo” sociale che resta per lui l’elemento principale di studio e

di interesse.

CHE COSA RESTA?

Negli ultimi anni, ha più volte lanciato l’allarme di una società che va indietro. E se va indietro è anche perché c’è un problema che sembrava, dopo gli anni 50, archiviato: l’analfabetismo di ritorno. Per De Mauro solo il 20 per cento della popolazione italiana ha gli strumenti linguistici, di conoscenza e di calcolo per comprendere la realtà in maniera critica. Oggi stando sui social network e usando il web si ha l’illusione di sapere, di non aver bisogno di studiare. Ma per uno come lui, che va al di là delle apparenze, questo non basta. Semmai è il segno di una crisi profonda. Non si tratta di dividersi tra apocalittici e integrati. Ma di guardare alla realtà nel rapporto centrale con la lingua che ne costruisce visioni, senso, futuro.