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«Con quel processo smontammo la retorica de "La mafia non esiste"». A dirlo è Giuseppe Di Lello, uno dei quattro giudici istruttori del pool di Falcone e uno dei protagonisti del maxiprocesso di Palermo Sono passati trent'anni da quel 10 febbraio 1986, dal teorema Buscetta e dai 260 imputati condannati in primo grado. Un processo che ancora anima i dibattiti e che ha visto - sulle pagine di questo giornale - contrapposte le tesi dell'ex procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna (qui l'articolo) e Tiziana Maiolo (qui il commento).«La storia del maxiprocesso è anche la storia di una relazione nuova tra giustizia e informazione», ha scritto Cisterna. Da parte in causa, condivide?Condivido il fatto che il processo di Palermo è stato un punto di incontro tra stampa e giudici. Per la prima volta, infatti, c'è stata una vera e propria divulgazione mediatica degli eventi processuali. Niente a che vedere con il rapporto di oggi, però.In che senso?Tanto per cominciare, non abbiamo mai fatto una sola conferenza stampa. Né, tantomeno, c'è mai stata una fuga di notizie dagli uffici di noi giudici istruttori. Pensi che il pentito Buscetta parlò in segreto con Falcone per tre mesi interi e nessuno, dico nessuno, ne era al corrente.Nessuna soffiata alla stampa?Assolutamente no, si venne a sapere solo dopo, perché ad un certo punto la mafia si rese conto che Buscetta era come sparito nel nulla, dopo l'arresto in Brasile. Non lo trovavano né in carcere né in ospedale e allora capirono.Oggi sarebbe assolutamente impensabile...Oggi, se un pentito parla, come per magia lo sanno tutti il giorno dopo e leggono tutti i dettagli sulle pagine dei giornali.Si è anche scritto che, in quel processo, si processò la Mafia con la M maiuscola, prima ancora che i singoli individui. Lei è d'accordo?All'epoca era necessario stabilire, per la prima volta nel nostro ordinamento, se l'associazione mafiosa esisteva in sé, al di sopra dei reati commessi dai singoli individui. Non dimentichiamo che alcuni, in quel periodo, continuavano a ripetere che la mafia non esisteva.Eppure, Tiziana Maiolo ha sostenuto che sia stato un errore «pensare che il processo non sia solo il luogo dove confermare l'ipotesi accusatoria nei confronti del singolo imputato, ma l'arma con cui si combattono fenomeni sociali trasgressivi». Avete davvero processato la Mafia e non i mafiosi?Che assurdità. Per noi era assolutamente necessario stabilire il contesto in cui si svolgevano i fatti, non bastava vagliare solo i singoli reati. Dovevamo individuare preliminarmente se il fenomeno mafioso e il contesto in cui prendeva forma davano vita ad una associazione per delinquere. Certo, è ovvio che al banco degli imputati sedevano i singoli mafiosi, ma per ottenere il risultato dovevamo prima di tutto affermare o smentire il principio della mafia come associazione per delinquere.Oggi la mafia come la avete conosciuta e combattuta voi è ancora presente in Sicilia?La mafia è fatta di tradizione, continuità e innovazione. Queste tre caratteristiche fanno sì che il fenomeno non sia più identico a quello che abbiamo conosciuto trent'anni fa.Diversa ma non sconfitta?Oggi la mafia è sicuramente indebolita: tutti i boss - con eccezione di Matteo Messina Denaro - sono in carcere con la pena dell'ergastolo. Inoltre ormai è una costante il fatto che i beni proventi di mafia vengano sequestrati. Questo è un colpo durissimo, ma attenzione: Cosa Nostra non è ancora vinta.Immagina, oggi, che si possa istruire un processo come quello di Palermo?Non credo sia pensabile, anzitutto perché è cambiato il rito da inquisitorio ad accusatorio. Inoltre i mafiosi da processare sono molti meno, si pensi soprattutto al fatto che da allora non si è più ricostituita una vera e propria "cupola" come quella di Riina, Provenzano, Greco e Pippo Calò.E quindi dove e come germina oggi la mafia?La mafia continua ad essere molto pervasiva sul territorio ed ha grande connessione soprattutto con i singoli poteri locali. Sottolineo però anche il grande lavoro di repressione portato avanti dallo Stato e dalle forze dell'ordine che operano nelle aree più a rischio.Oggi il concetto di "antimafia" viene utilizzato nei contesti più diversi e in alcuni casi si è rivelata un paravento per situazioni opache. Come considera l'utilizzo di questo termine?Certo, esiste il pericolo che l'antimafia venga brandita come arma contundente, ma io ritengo che vadano sempre fatti i dovuti distinguo.