Dice Massimo Giannini, editorialista di Repubblica e direttore di Radio Capital, che fra i tanti torti che ha Salvini, per onestà intellettuale, bisogna riconoscergli «un merito oggettivo e inconfutabile: l'aver preso la Lega al 4% e averla portata fino al 34%». Oggettivamente, le cose non stanno così.

La Lega che ha ereditato Salvini, anzi, che ha espugnato il 15 dicembre 2013 conquistando la segreteria dopo aver vinto le primarie contro Bossi una settimana prima, era altra cosa rispetto alla attuale. Quella, era la Lega Nord, questa, la Lega – Salvini premier. Ma alla diversità formale del nome del partito, corrisponde una diversità sostanziale della politica del partito. Quella che Salvini ha portato dal 4% delle politiche 2013e dal 6% dalle europee del 2014, al 18% delle politiche del 2018 e al 34% delle europee 2019 non è affatto lo stesso partito politico, ché nel frattempo, il cosiddetto “capitano” ha rottamato il Carroccio in favore di un trattore col quale ha demolito le basi stesse della Lega Nord, per sostituirla con il “suo” partito: non a caso il suo nome campeggia nel nuovo simbolo. In buona sostanza, ha svuotato la Lega di Bossi& C di tutti i suoi valori, le sue pulsioni, e l'ha riempita d'altro.

Nella fattispecie, ha preso un partito dalla vocazione regionalistica e antifascista ( molti della Lega, a partire dallo stesso Bossi, provenivano dai partiti di sinistra, Pci in testa, come nel caso del senatùr) e l'ha trasformato in un partito di estrema destra, invadendo il campo della Meloni, il cui cuore è sempre stato inequivocabilmente e solo nero, senza altri cromatismi politici. Al tempo della Lega della premiata ditta Bossi& Maroni, quella dura e pura, quella della “Roma ladrona” ( scopertasi poi una vocazione irrefrenabilmente e intrinsecamente delinquenziale, come dimostrano le diverse sentenze passate in giudicato), era un ragazzotto che sosteneva il “comunismo padano”: una blasfemia di cui si sarebbe affrancato ( e ci avrebbe affrancato) da lì a breve, sostenendo “le tesi di aprile”. No, non quelle di Lenin, quelle dell'Umberto. Quelle portate davanti al notaio di Varese Franca Belloni il 12 aprile 1984. Quel giorno, un giovedì, sei persone costituirono la ' Lega autonomista lombarda'. Uno dei sei era appunto l'Umberto.

Un altro componente della delegazione era una donna: Manuela Marrone, futura moglie del sentùr. ' L'associazione – si legge nell'atto costitutivo – ha sede a Milano, in via Bardelli 1. Essa non ha scopo di lucro bensì il raggiungimento della autonomia amministrativa e culturale della Lombardia'. Scopo primario del movimento, la realizzazione delle ' aspirazioni delle popolazioni locali ad un autogoverno che tenga conto delle necessità di uno sviluppo sociale legato alle caratteristiche etniche e storiche del popolo lombardo'.

L'idea della autonomia lombarda frullava nella testa dell'Umberto già al tempo della Lombardia Autonomista, il giornale da lui fondato nel dicembre 1983, di cui era direttore ed editore. Anticipando di più decenni i pentastellati, il sottotitolo della testata riportava una frase di Jean- Jacques Rousseau: ' La vera democrazia può essere raggiunta soltanto in collettività relativamente piccole'. ( Dettaglio, quello delle piccole collettività, evidentemente sfuggito al M5S). I social di cui il traditore della Lega Nord si sarebbe servito come nessun altro politico grazie alla Bestia di Salvini erano di là da venire: l'Umberto propagandava infatti le sue idee anche a colpi di scritte sotto i ponti. '

I muri sono il libro dei popoli' spiegherà anni dopo. Con le premesse dell'atto costitutivo sancito con atto notarile, la Lega di Bossi si alleò con la Liga Veneta nata nel 1980: il futuro avrebbe visto il redivivo Lombardo- Veneto sotto l'insegna comune della Lega Nord, con l'identico obiettivo di liberare i popoli lombardi e veneti dalla “tirannia romana”. I veneti ebbero anche una propaggine effervescente: col nome di Serenissimi e rifacendosi alla Repubblica di Venezia, alcuni pasdaran del leone veneziano assaltarono il campanile di Piazza San Marco nella notte fra l' 8 e il 9 maggio 1997 con mezzi “blindati” rabberciati ma con gli strumenti di bordo in rigorosa “lingua veneta”, quale ad esempio “struca el button” ( schiaccia il bottone).

Romantici cui batteva nel cuore un autentico spirito indipendentista, che nulla aveva né voleva avere a che fare con il resto della nazione ( una nazione che non riconoscevano come la loro). E' questa la Lega in cui cresce il giovin signore della futura Lega – Salvini premier. Il solo pensiero di condividere lo stesso partito con i figli della Magna Grecia o dei Latini avrebbe potuto provocare fastidiose reazioni psicologiche e fisiche a serenissimi e brembani; come minimo una psoriasi. La trasformazione che ha subito la Lega dei primordi non ha eguali nello scenario della politica italiana. Per una similitudine – comunque forzata – dobbiamo rapportare il Pcd'I di Bordiga al Pd di Zingaretti. Se c'è una persona oggettivamente invisa alla Meloni ( la Giorgia, la madre, la cristiana) quella è Matteo Salvini, predatore dei suoi voti. Sì, perché – dismesso il verde padano – il capitano ha preferito cromatismi più attraenti per una platea più vasta: quella plebe che non riconoscendosi più come popolo, preferisce affidarsi a un Cesare. Meglio se dal polso fermo e dalla mascella volitiva: caratteristiche capaci d'intercettare consensi dalle Alpi alla Trinacria.