Si dice che il Coronavirus sia il frutto velenoso di un “salto di specie”, di uno spillover: un microbo del pipistrello ha fatto il salto ed è passato nel corpo degli uomini. Lo schema d’attacco può ripetersi: anzi, un altro spillover è già in atto. La minaccia riguarda questa volta il mondo del diritto, la cui delicata specificità ha una storia millenaria. Niente a che fare con l’isolamento sulla torre d’avorio. La specificità del diritto ha solide ragioni ed è fondata sulla sua provata capacità di gestire la conflittualità umana. Con tutti i suoi difetti, il diritto aiuta a guidare le politiche comportamentali in modo meno violento rispetto all’ arbitrio del più forte. Il diritto svolge il suo compito di mediazione sociale grazie al modo in cui crea le regole, individuando soggetti e modi della loro produzione ( leggi, regolamenti, contratti etc.). Dietro questa gestione della prescrittività c’è un sapere millenario, che ha al suo centro un linguaggio. Ne sono interpreti gli avvocati, i magistrati, i notai e simili. Sappiamo che speciali cautele assistono il mondo del diritto penale le cui norme terribili devono essere prodotte e scritte in modo particolarmente preciso. A tutela dell’individuo, il diritto penale dispone di strumenti comunicativi di altissima tecnologia: ogni precetto, ogni norma incriminatrice, è capace infatti di rivolgersi contemporaneamente sia ai cittadini che ai giudici. Con le stesse parole, dice ai primi cosa non fare; e ai secondi quando possono punire. Per forgiare, ma anche per adoperare, questi utensili multifunzionali ci vuole una competenza particolare ed è su questa competenza che si fonda la specialità del mondo giuridico.

Oggi l’autonomia di questo ecosistema è minacciata. Dicevamo del virus che, proprio nei giorni scorsi ha tentato, quasi riuscendoci, il salto di specie. Questo virus viene dal mondo della comunicazione mediatica ( tradizionale, social, ma anche dei siti istituzionali). E per questo che si chiama anch’esso COVID: un acronimo che sta qui per Communication Virus Desease. Non è da oggi che i patogeni del mondo della comunicazione di massa assediano il diritto. Pensiamo ai processi mediatici. Ai microbi del sensazionalismo, della umoralità irrazionale che caratterizzano le gogne o gli altari televisivi. L’assedio va avanti da tempo; ma in queste ultime settimane è successo qualcosa di diverso. Il profluvio di decreti e ordinanze tesi a mettere in riga, con sanzioni penali o amministrative, gli indisciplinati del Coronavirus, si è coniugato strettamente con la grancassa mediatica: un messaggio normativo vago si è fuso, per settimane, con quello mediatico. Per giorni non è stato possibile, né per il cittadino comune né per le autorità dell’enforcement, sapere dove stesse esattamente il nucleo giuridico di alcune prescrizioni. Ad esempio, quelle sulle uscite. Per giorni è risultato, utile, proficuo, efficace, che tale confusione imperasse. Utile che nessuno potesse chiaramente sapere quali fossero i limiti della libertà di movimento e che nessuna autorità dell’enforcement operasse alla stregua di rigorosi parametri giuridici. Mentre in Francia si è autorizzata l’attività motoria per un’ora al giorno ed entro un chilometro da casa, in Italia le indicazioni sono rimaste così vaghe da produrre un campionario di “violazioni” la cui varietà e bizzarria ci intratterrà per anni. I messaggi sulle regole di condotta da osservare sono stati veicolati prevalentemente da fonti informali. I c. d. “indisciplinati”, più che violare precise regole giuridiche, hanno disatteso aspettative di comportamento definite spesso dai media. Si è così talora diffusa, a dispetto della continua apologia della scienza, una logica antiscientifica simile a quella della caccia all’untore. Aspettiamo fiduciosi i decreti della Fase 2, sperando che sappiamo riportare la dimensione giuridica al centro delle politiche comportamentali. Non è infatti accettabile che la comunicazione mediatica, anche quella di fonte istituzionale, si sostituisca al diritto. Forse il COVID 2020, il nuovo terribile virus comunicativo di cui abbiamo parlato, non riuscirà a fare ora il salto di specie e finirà come la SARS 2003. Lo speriamo tutti. Perché la prossima volta potrà essere fatale.

* ordinario di diritto penale nell’Università di Firenze