La cittadinanza italiana concessa dal governo alla piccola Indi Gregory, per facilitare il trasferimento della neonata in Italia e permettere così cure che in Gran Bretagna verrebbero altrimenti interrotte, sta facendo discutere la politica. Lorenzo D’Avack, già presidente e ora membro del Comitato nazionale di bioetica, commenta con Il Dubbio i fatti delle ultime ore, spiegando che «l’accanimento clinico presenta delle difficoltà etico-giuridiche» da tenere in considerazione.

Professor D’Avack, che idea si è fatto della vicenda?

Si ripete la vicenda di Alfie Evans, i cui genitori nel 2018 chiesero e ottennero dal governo la concessione della cittadinanza italiana per permettere l’espatrio. Indi è affetta da una grave malattia mitocondriale che l’Alta Corte londinese ha ritenuto incurabile, tanto da ritenere opportuno sospendere le terapie in considerazione sia della loro inefficacia, sia che queste avrebbero creato sofferenza per la minore. Una decisione che devo pensare essere stata presa dai medici dell’ospedale di Nottingham e dai giudici, in scienza e coscienza, dopo diverse perizie mediche che hanno accertato che qualsiasi intervento terapeutico si sarebbe trasformato in un mero accanimento clinico, in una inutile agonia.

I giudici inglesi hanno spiegato che c’è accordo tra i medici sull’incurabilità della malattia, ma in Italia si offrono cure alla bimba: crede che si possa arrivare a un compromesso tra la volontà dei genitori di mantenerle in vita e la necessità di evitare il cosiddetto accanimento terapeutico?

Sembra che Indi sia ricoverata in un posto infimo invece che in una dei più attrezzati ospedali britannici, dove viene assicurata un’eccellente terapia del dolore. E perché non dovremmo credere ai medici inglesi quando parlano di cure diventate ormai accanimento clinico? Il fatto che i genitori siano contrari all’interruzione delle cure non è di per sé sufficiente. Anche in Italia il Codice deontologico dei medici, articolo 16, e la legge 219/17, articolo 2, negano il diritto di pretendere un trattamento sanitario se questo per i medici e per i giudici è accanimento clinico. Di fatto questo era già stato condannato da Papa Pio XII in occasione del Convegno internazionale di anestesiologia del 1956. L’ospedale Bambino Gesù evidentemente ha già fatto avere la sua disponibilità ad accogliere la bambina, sul presupposto di essere in grado di poter assicurare delle cure adeguate alla malattia mitocondriale. Lo spero. La vicenda sanitaria, debbo pensare, sarà sottoposta all’attenzione del comitato etico del Bambino Gesù, che dovrà essere in grado di valutare le cartelle cliniche e le reali possibilità di modificare in modo positivo la prognosi di Indi, considerato anche che una cura sproporzionata potrebbe scivolare nello sperimentale o in una mera cura compassionevole.

In passato ci sono stati diversi casi simili, come quello da lei citato di Alfie Evans, che hanno coinvolto altri governi: tuttavia sono arrivate critiche da parte delle opposizioni sull’opportunità di forzare la mano. Lei che ne pensa?

Alfie Evans aveva 23 mesi e il governo concesse la cittadinanza italiana, dato che non veniva consentito l’espatrio. Tuttavia Alfie morì pochi giorni dopo. L’altro caso fu quello di Tafida Raqeeb, la bimba di quattro anni con gravi danni celebrali che fu curata al Gaslini di Genova con successo nonostante il parere contrario dei giudici inglesi. Ovviamente si tratta di situazioni sanitarie fra loro differenti. Il trasferimento in Italia grazie alla concessione della cittadinanza (L. 91/92, art. 9) è oggi, come lo era nei casi precedenti, giustificato dalla presidente del Consiglio Meloni e dal Consiglio dei ministri in considerazione «dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare alla minore ulteriori sviluppi terapeutici».

È d’accordo?

Sebbene sia certamente meritevole il tentativo del governo di poter salvare la vita di Indi, mi pare un precedente non trascurabile che potrebbe, anzi dovrebbe, consentire a molteplici minori, particolarmente vulnerabili e mal curati in paesi sottosviluppati, di poter chiedere la cittadinanza italiana per ottenere delle cure adeguate. Mi sembra tutto troppo oltre misura. Non stiamo facendo un ponte aereo per salvare dei bambini sotto le bombe, ma per andare a salvare una bimba in un’eccellente ospedale pediatrico inglese. Credo che dietro a questo caso, come già avvenne per il piccolo Alfie Evans, ci sia una mobilitazione dei movimenti pro-life contrari al fine vita. Probabilmente tutti sono in buona fede: il governo che ha dato la cittadinanza, l’ospedale inglese e i giudici che traducono i residuali interventi in accanimento clinico. Però credo anche che l’unico parametro di scelta dovrebbe essere il desiderio di alleviare le terribili sofferenze di Indi, affetta da una malattia irreversibile.

In che modo il comitato di bioetica, di cui lei fa parte e che ha presieduto, può esprimere un proprio parere sul caso della piccola Indi?

Il precedente Comitato Nazionale per la Bioetica scrisse nel gennaio 2020 una mozione che trattava appunto il delicatissimo problema bioetico dell’accanimento terapeutico sui bambini piccoli con limitate aspettative di vita e che tra l’altro preferì definire come accanimento clinico, proprio perché quel genere di trattamento non presentava alcun aspetto terapeutico. Tuttavia il CNB non ha alcuna legittimità giuridica, politica, morale e etica per formulare un parere “ad personam” e quindi trattare una vicenda come quella di Indi. Una attenta lettura della mozione sopra menzionata può certamente aiutare a comprendere quali siano le difficoltà etico e giuridiche che presenta l’accanimento clinico indicato nel CNB «come l’uso sproporzionato di mezzi terapeutici che non portano beneficio alla salute del paziente ma che avrebbero il solo scopo di procurare un possibile prolungamento precario e penoso della vita».