GOGNA/ 2

«Cesso». «Datti fuoco». Sono alcuni degli insulti rivolti alla giornalista Laura Cesaretti. Aveva scritto il brutto tweet dopo la nascita del figlio di Di Battista: «Ma l’ha fatta l’amniocentesi?». Il web si divide. Una frase legittima tanto odio? «C’hai offeso: datti fuoco, cesso» L’odio web contro una giornalista

«Sei brutta come la fame». «Zozza». «Sei un essere squallido, fuori di testa». «Dovresti sputarti in faccia da sola». «Immondizia». «Con lei nessuno farebbe un figlio, ne ( senza accento nel post originale, ndr) tanto meno avere un rapporto sessuale». «Infame». «Spero che Dio ti punisca». «Datti fuoco». «Ti invito a rinchiuderti in un ospedale psichiatrico». «Fai vomitare». Sono solo alcuni dei commenti ( quelli che è lecito riportare in un articolo) che si possono leggere nelle pagine facebook e twitter della giornalista Laura Cesaretti, senza però dimenticare il più gettonato «vergogna», in genere scritto con una serie infinita di a, e il più ardito e macabro “ho pronta la bottiglia da stappare quando muori”. Quest’ultimo lo scrivo tra virgolette e non tra caporali perché lo ricordo a memoria. L’ho letto ma poi, nel ricercarlo per citarlo in maniera esatta, ho avuto una sorta di scoramento: troppi insulti per leggerli facendo finta di niente.

Cosa è successo? Laura Cesaretti è una collega del Giornale e, quando è stata annunciata la nascita del figlio di Alessandro Di Battista, ha scritto: «Ma l’amniocentesi l’ha fatta? ». Una battuta brutta, offensiva, che è stata criticata anche da diversi avversari del deputato Cinque stelle. Ma poi c’è stata una reazione, forse prevedibile, ma non per questo meno grave: la giornalista è stata presa di mira da numerosi militanti che non l’hanno criticata, l’hanno insultata. Centinaia e centinaia di commenti sono stati scritti contro di lei, come se fosse scattata una sorta di fatwa nei suoi confronti. Cesaretti, conosciuta proprio per le sue battute caustiche, ha chiesto scusa. «Allora - si può leggere su Fb - mi dispiace per quelli che, in buona fede, si sono sentiti feriti e offesi da quella che era solo una battutaccia. Probabilmente di pessimo gusto...». Ma anche questo post, in cui faceva gli auguri al figlio di Di Battista, non è bastato a calmare gli animi. Per alcuni non è stato sufficiente, non si era abbastanza «pentita» ; per altri invece nessuna scusa sarebbe sufficiente a cancellare l’onta. Il pubblico di facebook si è diviso, così come si sono divisi i colleghi giornalisti, chiamati in causa da diversi commenti in quanto «giornalai». Una parte ha messo sullo stesso piano azione e reazione. Laura Cesaretti e le persone che la hanno insultata ( in alcuni casi con elementi veramente diffamanti rispetto al fatto che sarebbe «al soldo di un pedofilo corrotto» ) avrebbero uguale responsabilità. Starebbero sullo stesso piano. C’è invece una parte ( e io tra questi) del mondo dei social e dell’informazione che, pur criticando quella frase, ritiene la reazione ben più grave. In primo luogo perché è un’aggressione in gruppo, in secondo luogo perché è il segnale di uno svilimento complessivo della discussione pubblica.

Siamo nel pieno del linguaggio dell’odio che più volte, grazie all’iniziativa del Consiglio nazionale forense per il G7 dell’avvocatura, abbiamo affrontato e messo a tema sul nostro giornale. Fino a che punto un atto sbagliato può giustificare insulti e offese? Fino a che punto è lecito attaccare una persona in gruppo? Siamo davvero a un bivio, come sostiene Guido Vitiello del Foglio che ha scritto: verremo ricordati per ciò che faremo contro queste modalità.

I temi sono tanti. E questa volta incontrano un caso concreto. Una storia vera, controversa nella sua origine, e forse per questo ancora più interessante per i quesiti che riesce a sollevare. Uno di questi è per esempio: come reagire. Cesaretti ha deciso di non bloccare nessuno che la insulta, sulla sua pagina sono ancora visibili tutti i commenti che si aggiornano, purtroppo, di minuto in minuto. Lo ha fatto proprio per sollevare la questione, per lanciare in qualche modo l’allarme. Ma basta? Gli strumenti a portata di mano sono quelli del diritto per querelare, ma soprattutto il diritto inteso come cultura, come idea di società che vogliamo costruire. Quando parliamo del linguaggio dell’odio, quando qualcuno lo subisce, siamo affacciati esattamente su questo crinale: in quale società vogliamo vivere?