L’uomo che certificò la fine politica di Silvio Berlusconi abbraccia la causa di Giuliano Pisapia. Dario Stefàno non è semplicemente un senatore ex vendoliano, è il presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità che dichiarò decaduto il Cavaliere. «Ma non mi sono mai fatto condizionare dalle appartenenze, ho solo applicato una norma dello Stato», ci tiene a sottolineare. Oggi il suo orizzonte si chiama Campo progressista, la creatura politica nata attorno all’ex sindaco di Milano.

Senatore, ancora non è chiaro cosa sia questo Campo progressista: Un partito? Un think tank? Un’associazione?

È un campo aperto di forze democratiche e progressiste che vogliono aiutare il centrosinistra a ritrovare una rotta in sintonia con i propri valori. L’obiettivo è mettere in rete una serie di esperienze territoriali che hanno prodotto risultati straordinari, mettendole al servizio del Paese. Alcuni processi perversi della globalizzazione hanno contribuito a aumentare le disuguaglianze, sgretolare il tessuto sociale, precarizzare il futuro delle nuove generazioni. Ecco, noi immaginiamo che a questi problemi si debbano dare delle risposte pragmatiche, non ideologiche o populiste.

Il battesimo ufficiale avverrà a Roma l’ 11 marzo. Scusi se insisto, ma quel giorno nascerà un nuovo partito o no?

No. L’ 11 marzo si avvia un impegno politico collettivo. Non un partito tradizionale o una federazione tra soggetti politici diversi, formula che, in passato, ha già fallito. Vogliamo essere un campo largo in cui tutte le radici si sciolgono per contribuire a restituire al centrosinistra una rotta comune: un soggetto che parta dal basso e si sporchi le mani.

Come fa a stare insieme un fronte che da Tabacci arriva a Zedda?

Sono esperienze diverse che hanno in comune la buona amministrazione. Non è un caso che Pisapia abbia voluto in Giunta a Milano proprio Tabacci, trovando sempre omogeneità di vedute nelle soluzioni per i problemi della città. Ripeto: l’obiettivo è mettere insieme le ricette territoriali di successo in un’unica grande proposta di governo nazionale. In parte, somiglia allo spirito che aveva generato “Italia bene comune”, provando a correggerne le criticità emerse.

Una risposta di sinistra al Movimento 5 Stelle?

Una risposta pragmatica e progressista alle emergenze del Paese, antitetica all’approccio populistico.

Pisapia invoca una “politica gentile”. Cos’è la gentilezza in politica?

La capacità di ascoltare, di non vivere nella concezione dell’uomo solo al comando, di non concepire come un peso il confronto con i corpi intermedi, di ammettere i propri errori, di correggere la rotta quando si sbaglia.

Sbaglio o la sua definizione di gentilezza è l’opposto del renzismo?

Bisogna chiudere con una fase politica in cui la sinistra ha fatto la destra non solo nel merito ma anche nella metodologia. È fallimentare il leaderismo che considera la comunità un orpello e preferisce consegnarsi al “mi piace” della Rete. Gentilezza significa optare per la fatica di guadagnare consenso sul terreno della discussione.

Bisogna essere gentili anche col governo in carica?

C’è un esecutivo chiamato a correggere le distorsioni prodotte dai governi che l’hanno preceduto. Gentiloni deve andare avanti se ha la fiducia del Parlamento e capacità di risolvere alcune criticità: i conti pubblici e le procedure di infrazione con l’Europa, i flussi migratori, la ricostruzione dei luoghi colpiti dal terremoto, l’abuso dei voucher...

Sembra però che Renzi abbia fretta di tornare al voto...

Il Parlamento e il governo non possono dipendere dalle volontà personali di Renzi. Anche su questo c’è una discussione dura all’interno del Pd e spero che al più presto si produca una sintesi che ancori le sorti del governo agli interessi del Paese e non a quelli di un leader.

Il rischio scissione tra i dem è sempre più concreto. Campo progressista potrebbe essere l’approdo naturale per eventuali transfughi?

Noi siamo inclusivi ma non speculiamo sulle vicende degli altri partiti, tanto più se nostri possibili alleati. Abbiamo un grande rispetto del popolo del Pd, per questo ci auguriamo che la scissione non si avveri. Non è mai una buona notizia quando ci sono delle divisioni a sinistra.

Il Pd sarà sempre il vostro interlocutore privilegiato? Il Pd è stato costretto dai numeri in Parlamento a fare alleanze innaturali: per questo pensiamo di mettere in campo un’azione che lo liberi da questa necessità. Il Pd non è autosufficiente e noi non lo vorremmo più vedere obbligato ad alleanze con il centrodestra.

Chiederete primarie di coalizione per la selezione del candidato premier?

Non lo escludiamo. È chiaro che vorremmo essere protagonisti anche nel processo di selezione di una eventuale leadership che rappresenti al meglio un centrosinistra moderno, inclusivo, plurale.

Qualcuno vi accusa di essere solo una stampella di Renzi...

Non siamo la stampella di nessuno, vogliamo essere gli interlocutori del popolo democratico e progressista.

I suoi vecchi compagni di Sel hanno scelto di dar vita a Sinistra italiana, escludendo alleanze col Pd. Sbagliano?

Rispetto una scelta che non ho mai condiviso. Credo che la naturale evoluzione della stagione vendoliana sia il Campo progressista. Vendola tanti anni fa incrociò sulla sua strada storie diverse, come quella del sottoscritto, perché abbandonò l’idea del piccolo partito per giocare la grande partita del cambiamento. Ora hanno scelto un altro percorso.

Vendola considera impossibile un’alleanza «che rappresenti una complicità con una forza liberista come il renzismo». Cosa è cambiato?

Fino a poco fa, la visione di Sel era quella di stare dentro ai processi per condizionarli, per indirizzarli. Oggi, invece, hanno scelto di chiamarsi fuori dalla discussione, sottovalutando che l’alternativa abbracciata rischia di trasformarsi in una proposta minoritaria, di mera testimonianza.

Sinistra italiana, Possibile, DeMa. Sono solo alcune delle sigle che, oltre a Campo progressista, si contendono lo spazio alla sinistra del Pd. Con queste divisioni non si rischia l’irrilevanza?

Quelle che ha elencato sono tutte proposte con obiettivi divergenti rispetto ai nostri. Noi ci sentiamo impegnati a dare risposte concrete a una comunità che ci interroga sulle trasformazioni in atto, non a chiuderci in una gabbia ideologica. Noi siamo impegnati a unire, non a dividere.

Lei passerà alla storia come l’uomo che ha certificato la fine politica di Silvio Berlusconi. È stato corretto sconfiggere l’avversario per via giudiziaria o sarebbe stato meglio batterlo sul terreno della politica?

Sono stato chiamato a guidare una complessa procedura parlamentare di prima applicazione di una legge dello Stato, la ' Severino', in cui tutti i partiti si erano riconosciuti, compreso il centrodestra. Sono orgoglioso di aver vissuto quel passaggio parlamentare con il rigore a cui è chiamato chi ha l’onore e la responsabilità di interpretare il ruolo guida di un organo di garanzia.