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Se fosse vissuto nell’antica Grecia Giuseppe Conte sarebbe piaciuto al filosofo Eraclito che nelle continue metamorfosi dell’avvocato del popolo avrebbe trovato l’umana conferma alla massima che “tutto scorre”. Tutto in una sola persona però. Premier per caso come in un remake a basso costo di una fiaba hollywoodiana, capo della coalizione gialloverde a vocazione sovranista e giustizialista, firmatario dei decreti sicurezza e dei porti chiusi ai migranti e amante di Padre Pio. La stessa colizione che approvò il fatidico condono nel decreto 2018 sul ponte di Genova oggi al centro delle polemiche. Poi la guida del governo giallorosso a trazione Pd durante l’emergenza Covid, subito dopo è premier di un esecutivo di unità nazionale fortemente europeista e vicino agli odiati “poteri fporti”. E dopo lo sgambetto fatale al governo Draghi ispiratissimo leader della sinistra-sinistra tutto concentrato sui diritti dei più deboli e attraversato dal fuoco bergogliano del pacifismo anti-ucraino. Lo chiamano Zelig, Fregoli, l’uomo dai mille volti tante metafore e tanti accostamenti, ma Giuseppe Conte con quella disinvoltura e quella nonchalance unica con cui passa di fiore in fiore, sembra essere qualcosa di più di una semplice maschera del trasformismo italico: probabilmente è soltanto un ostaggio della Storia, lo specchio curvo e ondivago dei nostri tempi che non ci indica soltanto la crisi di identità della politica ma quella dell’intera società che da liquida è diventata addirittura gassosa. E tra questi vapori lui è davvero il leader perfetto come dimostrano i sondaggi che lo danno in crescita costante di consensi.