L’incredibile farsa della crisi politica italiana si avvia a un punto di svolta. Facile e triste immaginare che ne vedremo ancora delle belle, ma il 20 agosto il premier Conte parlerà all’Aula del Senato. È un punto fermo che, nonostante non si discuta alcuna mozione di sfiducia, può aprire la crisi di governo: quella vera. Perché dopo aver parlato, Conte potrebbe per l’appunto decidere di dimettersi, concretizzando una crisi di governo di cui si è straparlato ma che era solo un fantasma evocato urlando “elezioni subito!” tra fumi di mojito e cubiste in spiaggia: una crisi di governo esiste nel momento in cui un governo non ha più la fiducia in Parlamento, del quale Salvini controlla peraltro solo il 17 per cento. Se Conte decidesse di dimettersi, la gestione della crisi passerebbe nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale come è noto agisce e agirà a termine di Costituzione: dopo aver ascoltato gli orientamenti delle forze politiche.

È certamente solo uno degli scenari possibili, quello delle dimissioni di Conte che potrebbero a loro volta essere preludio a un Conte- bis che guardi alla fine della legislatura sulla base non solo di una nuova maggioranza, ma soprattutto di una nuova intesa politica ( non un contratto di governo) tra le forze politiche a cominciare dal partito di maggioranza relativa - i 5S - e dalla seconda forza parlamentare - il Pd- più altri partiti più piccoli. Intesa difficile, e la cui precondizione dovrebbe essere l’uscita di scena dell’attuale capo politico grillino, Luigi Di Maio. Ma se riuscisse, avrebbe molti vantaggi: perché un governo breve, di scopo e in vista delle urne ( come chiedeva inizialmente Renzi) non solo non risolverebbe il problema della legge di Bilancio ( il Pd non la potrebbe sostenere: significherebbe mandare Salvini alle stelle alle prossime politiche). Soprattutto “l’Italia non la reggerebbe sui mercati finanziari”, come ci fa notare un banchiere centrale: i mercati, che già sono entrati in fibrillazione facendo muovere al rialzo lo spread al solo sentire la parola “elezioni” pronunciata da una spiaggia ( dunque ipotesi remota, per chi sa come funzionano le cose), correrebbero a mettere al riparo i loro investimenti in titoli del debito pubblico italiano, che è poi quel che la formula “attacco dei mercati finanziari” significa.

Ma appunto, anche senza spingere gli scenari così lontano e così a fondo, il primo punto è che la crisi torna nei binari istituzionalmente previsti. Ritrovando dignità. Ridando affidabilità al Paese, quello che questo scorcio d’estate ha affondato sulla scena internazionale. Molto dipenderà dalle parole che Conte pronuncerà in Aula. Sia consentita una pura osservazione di scuola: nel nostro sistema esiste un principio non scritto ma fondante, e sin dagli albori della Repubblica, che è la leale collaborazione istituzionale. In questo ambito, quel che normalmente accade è che un presidente del Consiglio non faccia al presidente della Repubblica sorprese: se i rapporti non sono incrinati ( come furono, ad esempio, da un certo punto in poi quelli tra Berlusconi e Ciampi), un presidente del Consiglio ha tutti gli strumenti per anticipare al Capo dello Stato i contenuti di un discorso così importante. E Conte ha già mostrato di possedere l’accuratezza necessaria, e la capacità di avvalersi di eventuali preziosi suggerimenti che gli venissero dal Colle.

Da notare che Mattarella ha impiegato pochissimo a fermare la proposta gridata da Salvini in Senato “votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito al voto!”: gli è bastato far sapere di essere “sorpreso”, dato che tra l’una e l’altra cosa ci sono ad essere ottimisti un paio d’anni di distanza, a termine di Costituzione, e che l’articolo 4 della legge di modifica costituzionale non aiuta affatto ad aggirarla ( come provavano a far credere Salvini e il suo suggeritore Calderoli) ma anzi aggrava: far entrare in funzione il Parlamento nanizzato solo nel 2024 significa chiedere di andare al voto per eleggere un Parlamento già delegittimato. Impossibile, oltre che insensato. E sparito dal tavolo anche il vero tentativo di Salvini in quell’invocare crisi di governo ed elezioni in infradito: credeva gli sarebbe stato possibile gestire le elezioni da ministro dell’Interno e insieme capo politico e candidato premier in pectore. Salvini ha dovuto dire “i ministri della Lega sono pronti a lasciare il governo”: poi questa perentoria affermazione è non troppo misteriosamente caduta. Ma certo, se Conte si dimettesse non ci sarebbe neanche più bisogno di evocarla: Salvini sarebbe automaticamente fuori dal Viminale, e costretto per il resto dell’estate a un beach tour da politico semplice. Senza trasferte di Stato, senza moto d’acqua della Polizia, e con la normale protezione che lo Stato assicura a tutti i comizi di qualunque politico. E naturalmente, i disperati della Open Arms toccherebbero finalmente terra, come tutti gli altri migranti non salvati da ONG i cui sbarchi continuano perfettamente indisturbati. Sarà malizioso pensarlo, ma che al momento in cui scriviamo Conte abbia pubblicamente chiesto a Salvini di aprire i porti alla Open Arms non ci pare solo una giusta mossa umanitaria, il chiedere il rispetto di leggi internazionali e della dignità di un grande Paese come l’Italia, o un atto con cui il presidente del Consiglio fissa il proprio profilo politico sul punto ( un punto sul quale Mattarella tra l’altro è stato innumerevoli volte molto chiaro). Ci pare anche, nel momento in cui Di Maio sembra ancora propenso a dargli credito e a seguirlo, anche un’ultima chiamata a Salvini. Che però forse non ha capito, e ha risposto di no. O forse ha capito benissimo, e ha risposto no a un cambio di passo nel suo modo di stare al governo.