Alessandro Manzoni era nato a Milano il 7 marzo 1785. Il suo padre ufficiale era il nobile Pietro Manzoni, ma in verità egli era il frutto di una relazione extraconiugale fra la moglie di lui, Giulia Beccaria, figlia di Cesare, il celebre autore del trattato Dei Delitti e delle pene, e Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, gli altri due grandi esponenti dell'illuminismo lombardo. Sono dati biografici non irrilevanti, perché, se è sicuramente vero che il momento saliente della biografia intellettuale di Manzoni è nella conversione del 1810 al cattolicesimo, è pur vero che essa era lentamente maturata in un ben determinato ambiente storico-sociale e intellettuale: quella di un'aristocrazia milanese cosmopolitica e aperta alle nuove idee che avevano legato fra loro nel Settecento le élites intellettuali di tutta Europa e anche d'oltreoceano.Questa formazione illuministica, e poi il contatto con la parte più aperta e dinamica della borghesia milanese, segnò tutto il percorso intellettuale e di vita di Manzoni. E senza queste circostanze poco si capirebbe della sua poetica, della sua visione del mondo, della particolare qualità dello stesso suo cattolicesimo. Aveva perciò ragione Francesco De Sanctis, quando, nella sua Storia della letteratura italiana, scriveva che in Manzoni troviamo "l'idea del secolo battezzata come idea cristiana, l'uguaglianza degli uomini tutti fratelli di Cristo, la riprovazione degli oppressori e la glorificazione degli oppressi, è la famosa triade libertà, uguaglianza, fratellanza vangelizzata, è il cristianesimo ricondotto alla sua idealità e armonizzato con lo spirito moderno".In Manzoni però la "glorificazione" degli umili non prende mai le vie della rivolta sociale o del fervore rivoluzionario, nonostante egli sia stato sempre vicino, ad esempio, alle cause dei patrioti risorgimentali.E non la prende perché Manzoni è autore del "breve raggio": è interessato non  tanto alle grandi entità storiche (Stato, Lumi, Rivoluzione, ecc.), o ai grandi avvenimenti che pur fanno da scenario alle sue opere, ma alla vita concreta degli uomini concreti, alle loro sofferenze, al loro affannarsi, alle loro speranze. Anche quando egli prende a tema un eroe "cosmico-storico" come Napoleone egli punta dritto a elementi generalmente umani quali la morte, la finitezza delle stesse opere, la caducità persino della gloria più alta.È proprio questo tenersi lontano dalle grandi astrazioni, questa umiltà direi prima di tutto epistemologica, la cifra più interessante di Manzoni: per una parte il portato del suo cattolicesimo (non a caso sempre lontano dal clericalismo e critico di ogni potere chiesastico), dall'altra, l'espressione del suo liberalismo che lo avvicina in sensibilità ad altri grandi cattolici liberali della nostra storia, da Don Sturzo a De Gasperi (nulla a che vedere invece, a mio avviso, la sua visione del mondo con quella di un Papa Francesco molto più vicino, fra pauperismo e terzomondismo antioccidentalista, alla tradizione dei Dossetti, La Pira, don Milani).A Manzoni si è spesso imputata una visione del mondo bigotta e retriva, un conservatorismo legato alle abitudini sane di un vivere civile consolidato. Nulla di più falso: il rispetto per le tradizioni, i sani sentimenti popolari, la semplicità dei costumi e la naturalezza (a volte persino rozza) del sentire morale, non denotano conservatorismo astratto ma appunto la volontà di non anteporre, in nome di una Felicità futura, intellettualismi e idee astratte al concreto benessere che dà la semplicità di una vita sociale e morale affrancata dai bisogni impellenti e dalle prepotenze e arroganze degli uomini di potere (anche in questo caso oppressore è sempre un individuo concreto, un Don Rodrigo, mai il Potere in senso astratto o con la maiuscola).Questa metodologia o epistemologia, che nell'opera maggiore assume ovviamente le sue vette più significative, si trova anche in molti passi della Storia della Colonna Infame. Ne costituisce anzi, a ben vedere, il motivo ispiratore. Cosa muove Manzoni anche in questo caso se non l'interesse per il concreto di ogni vissuto, uno spirito cristiano e liberale di umanità, un concreto umanismo, che non è quello di chi in nome dell'Umanità e della Giustizia con le maiuscole è disposto a passare sopra la "vita degli altri" o semplicemente a esserne indifferente? Ogni personalità, ogni singola coscienza, non la società che fa da sfondo, è qui il vero centro. Così come vero centro non può essere la folla, quella massa amorfa che, in preda alle sue superstizioni, grida all'untore. Prontamente accondiscesa da una Giustizia incurante delle responsabilità, che sono sempre singole e vanno sempre provate.  Manzoni non ha avuto molta fortuna nella critica. Avversato dai cattolici perché troppo critico della Chiesa reale e del suo potere; dai laici perché troppo cattolico e lontano dalla mentalità democratico-massonica che dominò nell'Italia unita che lui pur fortemente aveva voluto; dai marxisti perché il suo amore per gli umili era "paternalistico e aristocratico" (come scrisse Gramsci); dallo stesso Croce perché la sua opera era "oratoria" e non poetica, volta cioè non all'arte in sé, assolutamente libera e disinteressata, ma ad un fine esterno di persuasione e apologetica.Però proprio il caso di Croce è sintomatico: negli ultimi anni rivide completamente il suo giudizio sull'opera manzoniana, fino a fare pubblica mea culpa, per usare l'espressione, e a dirsi mortificato del suo errore e anche del fatto che nessuno lo avesse criticato come meritava. Il Croce degli ultimi anni, pur isolato, raggiunge per molti aspetti la vetta più alta del suo pensiero. Non è perciò un caso che egli ebbe proprio allora a riconoscere il timbro dell'onestà intellettuale al sentimento cattolico espresso nei Promessi sposi: parlò così della "sincerità, sempre rigorosamente osservata dal suo autore, che non mostrò di farsene un vanto e la praticò con semplicità di movimenti". Ma non sono forse proprio la sincerità e l'onestà intellettuale le precondizioni per capire gli altri e le loro gioie e sofferenze e per difenderne la dignità? Una dignità, che in una prospettiva cristiana e liberale, è sempre del singolo e dell'individuo, ognuno diverso dagli altri ma pur uguale in questo elemento che gli deriva da essere figlio di Dio.