Con la giusta dose di tecnicismo, con la chiarezza dell’accademico e l’incisività del penalista Vincenzo Maiello, ordinario di Diritto penale alla “Federico II” di Napoli e difensore di Raffaele Lombardo, si sofferma sulla sentenza della Cassazione che ha assolto l’ex presidente della Regione Siciliana dalle accuse di concorso esterno e di corruzione elettorale con l’aggravante di aver favorito la mafia (si veda anche Il Dubbio del 30 agosto).

Professor Maiello, la Suprema Corte ha chiarito diversi punti. Ci può spiegare prima di tutto in cosa consiste il concorso esterno nello scambio elettorale politico-mafioso e quali sono le condizioni della sua rilevanza penale?

Ritengo necessario chiarire quel che spesso resta assorbito nelle pieghe di imputazioni fumose, e cioè che, come ogni reato, anche la tipologia di concorso esterno cui lei fa riferimento si incarna in un “fatto” umano accaduto in un tempo e in un luogo determinato e che, per questo, è suscettibile di prova nel processo. Essa consiste in un accordo elettorale tra un candidato e un sodalizio mafioso, per effetto del quale l’uno promette di favorire, una volta eletto, gli interessi dell’altro, in cambio dell’impegno di questi di procurargli voti. La promessa deve caratterizzarsi in termini di serietà e di concretezza. Di conseguenza, va escluso che possa darsi rilievo alle promesse generiche, riferite a indistinte e mere disponibilità, come, invece, ammette l’improvvida formulazione dell’odierno articolo 416- ter del Codice penale. Tutto questo però non è sufficiente per la configurabilità del reato.

Cosa occorre ancora?

Al patto deve seguire l’evento di rafforzamento dell’associazione. È il vero punto dolente della teoria e della pratica di questa ipotesi di concorso esterno, su cui si contrappongono i suoi differenti modelli ricostruttivi e le relative strategie di accertamento. Accade, infatti, che le Procure quasi mai si fanno carico di provare l’effetto di potenziamento generato dall’accordo e, purtroppo, non di rado, che il diritto delle Corti ratifichi questa impostazione.

Come si valuta, rispetto all’elemento della promessa, il potenziamento dell’associazione?

Andando a verificare se, in conseguenza dell’accordo, la consorteria abbia riallocato le proprie risorse e modificato, eventualmente, la struttura organizzativa, ricompattando una compagine in crisi, ovvero predisponendo nuove linee strategiche e una nuova mappa delle relazioni con le aree della contiguità fiancheggiatrice del mercato. Con parole diverse, è necessario accertare che all’interno del sodalizio il patto ha determinato un mutamento degli assetti, che, in base a massime di esperienza, possa configurarsi come un rafforzamento associativo. Com’è intuibile, siamo al cospetto di questioni complesse che scaturiscono dal fatto che il reato, costituendo deroga alla norma generale di libertà, esige un costume interpretativo che coltiva la dimensione controintuitiva del limite.

La Cassazione ha fatto chiarezza su questi temi?

La giurisprudenza di legittimità si è distinta per aver promosso, al livello alto della nomofilachia, letture garantistiche della fattispecie, che hanno trasformato l’incertezza e l’oscurità delle sue basi legali in asserti ermeneutici conformi ai principi di materialità e offensività. In queste occasioni, la Cassazione non ha avuto tentennamenti nell’affermare il primato del modello costituzionale di diritto penale anche sul terreno, scivoloso, della lotta all’agire mafioso. E tuttavia, non scarseggiano le decisioni che si lasciano guidare da una differente cultura politico- criminale, quella nata all’ombra di una concezione bellica dello ius criminale, che spiana la strada alla spiritualizzazione del reato e a forme di giudizio dove la sommarietà dell’accertamento incrocia la potestatività della decisione.

Sull’argomento sono intervenute due decisioni che hanno definito vicende giudiziarie assai note, quelle dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo e dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Possiamo parlare di una divaricazione interpretativa?

Direi proprio di sì. La prima sentenza riafferma con nettezza come gli elementi del reato siano, sul piano della condotta, il patto e, su quello dell’evento, il rafforzamento associativo. Di conseguenza, sancisce che l’eventuale adempimento, da parte del politico, delle promesse non incide sulla consumazione e, perciò, non prolunga nel tempo l’illecito. La seconda, invece, mette al centro della fattispecie la disponibilità del politico a venire incontro alle esigenze dell’associazione e afferma la natura eventualmente permanente del reato. Impiega, cioè, un concetto, quello della messa a disposizione, che la giurisprudenza valorizza rispetto all’intraneità e che, in rapporto, al concorso esterno, intorbida l’accertamento della responsabilità, rendendola confusa e incerta.

Dovrebbe intervenire il legislatore?

Una riforma che ridefinisca i contorni del sostegno associativo punibile è vivamente auspicabile per più di una ragione. La prima, e direi la più importante anche nella proiezione dei significati politico- culturali e ideologici, concerne il bisogno di riportare la fattispecie sui binari della legalità costituzionale. Vi è uno specifico bisogno della democrazia costituzionale di costruire l’incriminazione delle forme di collusione mafiosa come espressione di scelte del Parlamento. Non credo che sia più tollerabile questo vuoto di disciplina.

A quale rimedio può ricorrere il condannato contro una sentenza fondata sull’erronea applicazione della legge penale?

La possibilità che il giudicato di condanna sia viziato da errore interpretativo della legge penale non è contemplata dall’ordinamento vigente. Resta al condannato la possibilità di fare ricorso alla Corte Edu, per lamentare che la sua condanna è avvenuta “a sorpresa”, in violazione, cioè, del principio di prevedibilità. Si tratta, però, di un rimedio che rischia di diventare ineffettivo, visti i tempi di definizione del procedimento a Strasburgo. Per colmare la lacuna, qualche tempo fa ho proposto di riprendere in considerazione l’auspicio, autorevolmente formulato da Franco Bricola, poi ripreso da Gaetano Contento e Alberto Cadoppi, di introdurre nel nostro sistema un gravame straordinario, sul modello spagnolo del recurso de amparo. In Spagna ha una portata molto ampia, essendo destinato a giustiziare i diritti fondamentali. Da noi potrebbe essere limitato ai casi di “eccesso di potere interpretativo”, affidandolo alla competenza di un organo esterno alla giurisdizione ordinaria, quale potrebbe essere la Corte costituzionale, ovvero un organo ad hoc.