Al netto della popolarità nei sondaggi, sempre e ovunque volatili ma in Italia più che altrove, sul capo di Giuseppe Conte si addensano nuvole più spesse di quei consensi in sé effimeri e si moltiplicano critiche più resistenti del plauso popolare. Sono quasi tutte parzialmente giustificate allo stesso tempo quasi tutte molto ingenerose.

Nell'opinione pubblica, se non in un Palazzo dove nessuno potrebbe scagliare la prima pietra, pesa su Conte l'accusa di trasformismo e opportunismo. Non potrebbe essere diversamente trattandosi di un premier che ha volteggiato da un governo all'altro e da una maggioranza a quella opposta senza fare una piega. Andrebbe però anche segnalato che senza quella piroetta, iniziata non nell'agosto del Papeete ma qualche mese prima, quando con un vero e proprio colpo di mano Conte spostò il M5S su posizioni europeiste decisive per l'elezione di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione europea, il rapporto tra Italia ed Europa sarebbe stato profondamente e forse definitivamente compromesso. Dovrebbero tremare le vene ai polsi di chiunque solo a immaginare la potenza devastante del ciclone che si sarebbe abbattuto sull'Italia in seguito alla crisi Covid, senza quel solido e salvifico rapporto con l'Europa e con la Bce che si deve proprio al ' trasformismo' dell'inquilino di palazzo Chigi.

Molti, in questo caso però più nel Palazzo che nelle piazze nel Paese reale, rinfacciano al premier una marcata tendenza accentratrice, l'abitudine ormai consolidata a cercare di aggirare il Parlamento e le forze politiche della sua stessa maggioranza per non parlare poi dell'opposizione. E' un appunto non privo di un certo fondamento e sarebbe opportuno che il presidente del consiglio ponesse un freno a quella tendenza. Non si dovrebbe però fingere di ignorare che quell'abitudine accentratrice è frutto non di inesistenti tendenze cesariste ma della debolezza strutturale di una maggioranza che da un lato è priva di alternative ma dall'altro non sa risolvere le sue innumerevoli tensioni interne trasformandosi, come è necessario, da cartello messo insieme in pochi giorni per impedire il trionfo di un avversario comune a vera e propria coalizione. Tra le molte accuse che si possono muovere a ' Giuseppi' certo non figura quella di non aver fatto sin qui il possibile per incentivare quella obbligatoria evoluzione, che però sbatte puntualmente sulle resistenze dei partiti della maggioranza o, peggio, delle tante anime in cui ciascuno di quei partiti si divide. In queste condizioni e a fronte di una doppia crisi sanitaria ed economica, potenzialmente apocalittiche, l'accentramento è, se non giustificato, almeno comprensibile.

La critica più feroce arriva dagli industriali e dal battagliero neo- presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Bersaglia i dl varati dal governo nel corso dell'emergenza, addebitando all'esecutivo e a chi lo guida la colpa di aver distribuito soldi a pioggia invece di devolverli tutti agli industriali stessi, in un'ottica strategica di investimenti produttivi.

In realtà mettere all'indice provvedimenti emergenziali, esplicitamente pensati per offrire ristoro a fasce di popolazione che altrimenti sarebbero oggi in ginocchio o peggio, con l'accusa di essere appunto ' d'emergenza' è a dir poco bizzarro. Chiedere a decreti d'emergenza di avere valenza strategica è un controsenso, anche senza tener conto del particolare per cui a far la parte del leone, nella ' distribuzione a pioggia' sono state proprio le aziende. Le quali, peraltro, si sarebbero giovate ben poco del crollo inaudito della domanda interna che sarebbe stato stato inevitabile senza quegli interventi di ristoro che Bonomi liquida sbrigativo come inutili bonus ' a fondo perduto'.

La sola critica che si deve muovere a questo governo, pur con tutte le attenuanti oggettive del caso, è di essersi sin qui mosso improvvisando e non pianificando. Nei mesi scorsi, a fronte di una crisi sanitaria ed economica che ha colto di sorpresa e preso alla sprovvista l'intero occidente e anzi tutto il mondo, le cose non avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Ma nei prossimi mesi improvvisare non basterà più. Sarà necessario e vitale saper programmare con perizia e visione strategica, tenendo conto delle esigenze di lungo periodo senza perdere di vista l'obbligo di non lasciare sola una popolazione speso in gravi difficoltà. Sarà questo il solo vero banco di prova del secondo governo Conte e del premier che lo guida. Solo al termine di questa delicatissima fase si potrà e si dovrà esprimere un giudizio complessivo sul suo operato. Ma sino a quel momento sarebbe opportuno, pur senza risparmiare le critiche puntuali, evitare di scagliare frecce avvelenate alla cieca.