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Il costituzionalista Michele Ainis analizza l’ipotesi di riforma costituzionale del premierato e pur sfuggendo «la maglia da tifoso in un senso o nell’altro» spiega che «è inevitabile che nel momento in cui cresce la figura del presidente del Consiglio grazie a un diretto mandato popolare, in qualche misura decrescono le funzioni del presidente della Repubblica».
Professor Ainis, la maggioranza è pronta a portare in Cdm la riforma costituzionale del premierato: su quali aspetti si dibatterà nei prossimi mesi?
Al momento ragioniamo sulla base di alcune dichiarazioni e indiscrezioni che, a volte, sono fallaci. In ogni caso non mi metto indosso la maglia da tifoso in un senso o nell’altro, fenomeno che si è ripetuto direi sempre quando si sono varate riforme costituzionali importanti. In questi casi, da un lato c’è chi dice che la Costituzione è sacra e intoccabile e dall’altro quelli che dicono che è una vecchia signora da mandare dal chirurgo estetico. Io credo invece che bisogna essere “laici” e per farlo occorre osservare intanto la coerenza del disegno che viene proposto e poi il rapporto tra l’innovazione costituzionale e il sistema complessivo di pesi e contrappesi.
La prima grande novità è l’elezione diretta del presidente del Consiglio: che ne pensa?
È inevitabile che nel momento in cui cresce la figura del presidente del Consiglio grazie a un diretto mandato popolare, in qualche misura decrescono le funzioni del presidente della Repubblica.
Ma la maggioranza dice che i poteri del capo dello Stato restano tali…
Vediamo il disegno complessivo: attualmente i poteri più importanti del capo dello Stato sono la nomina del presidente del Consiglio e lo scioglimento delle camere. Il primo in situazione di crisi diventa un potere effettivo mentre quando il risultato elettorale è chiaro il parere del Quirinale diventa una fisarmonica, cioè si restringe. È accaduto nel 2001, quando Berlusconi disse di aver ricevuto il mandato «conformemente al voto popolare», sottinteso che il presidente Ciampi non avrebbe potuto fare diversamente, e nel 2022 con il governo Meloni. Con questa riforma, questo potere verrebbe indebolito.
Accennava poi al potere di scioglimento delle Camere, e qui la maggioranza introduce una sorta di sfiducia costruttiva. Ci spiega meglio?
In questo caso, delle due l’una. O nel momento in cui la maggioranza parlamentare va in crisi lo scioglimento è automatico, e allora il potere del capo dello Stato si perderebbe; oppure si ragiona di sfiducia costruttiva, che in questo caso definirei “vincolata”. Nel senso che, stando a quanto si dice, ove ci siano dimissioni del presidente del Consiglio eletto o una crisi parlamentare la stessa maggioranza uscita dalle urne può indicare il suo successore. Una norma cosiddetta “antiribaltoni”. Secondo me è un tratto d’incoerenza. La sfiducia costruttiva esiste in Germania ed è uno strumento di stabilizzazione dei regimi parlamentari, non di quelli presidenziali. Biden, ad esempio, non può essere sostituito in corso d’opera da un altro, a meno che non muoia. La formula italiana creerebbe un grosso problema costituzionale perché metterebbe il Parlamento contro gli elettori. Nel momento in cui gli elettori votano tizio e poi il Parlamento in seguito a crisi sceglie Caio gli elettori si sentiranno raggirati e penseranno di essere presi in giro.
La maggioranza potrebbe dire che se Tizio è a capo di una coalizione di più partiti e gli elettori votano quella coalizione, poi non faranno storie se il capo del governo viene sostituito da una figura interna alla coalizione…
Capisco il suo ragionamento, ma non è detto che le cose vadano così. Il voto per l’elezione diretta del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio ha una forte connotazione personale, mentre la logica di coalizione ha una forte connotazione parlamentare. E le dinamiche politiche si possono standardizzare fino a un certo punto. Potrebbero nascere, ad esempi, nuovi gruppi all’interno della stessa maggioranza, come accade ora. E in quel caso la coalizione di maggioranza potrebbe non essere coesa come era al momento del voto. Il presidenzialismo porta con sé la personalizzazione del potere. L’elettore vota una certa persona e non è detto che voterebbe anche un alleato della stessa.
L’alternativa sarebbe il ritorno al voto, un’ipotesi gradita a Fdi ma che non piace a Lega e Fi…
Anche l’altra soluzione, cioè quella praticata nelle Regioni e nei Comuni, realizza una sorta di equilibrio del terrore, in cui maggioranze in crisi votano comunque la fiducia al sindaco perché non vogliono tornare a casa. C’è poi il problema dell’abolizione dei senatori a vita.
Cioè?
La nomina dei senatori a vita è un potere importante del nostro presidente della Repubblica. C’è un libro di Paolo Armaroli, pubblicato di recente, che ripercorre il ruolo dei senatori a vita, che a volte fu determinante come nell’ultimo governo Prodi.
In ogni caso, in che modo si arriverà all’elezione del presidente del Consiglio?
L’ipotesi di cui si parla è che la coalizione vittoriosa prenda il 55 per cento dei seggi in Parlamento. Questo è un problema. Ipotizziamo che si sfidino quattro coalizioni maggiori, e che quella vincente abbia preso il 17 per cento. Se quel 17 diventa 55 per cento in Parlamento si crea una stortura istituzionale. Ricordo che il Porcellum venne dichiarato incostituzionale proprio per questo motivo. Sulla base dei principi costituzionali, se viene scritta una norma come quella appena descritta potremmo dire che la Costituzione italiana diventa meno democratica ma non potremmo dire che la norma è incostituzionale perché la Costituzione stessa lo prevederebbe. Se la Costituzione si limita a dire che il presidente del Consiglio viene eletto ma poi affida il procedimento alla futura legge elettorale, allora ci sarà di nuovo un forte rischio di incostituzionalità.