Dopo lo spazio è la mente il terreno sul quale Elon Musk ha deciso di avventurarsi, con l’obiettivo ultimo di fondere l’intelligenza umana e quella artificiale. Fin dove gli sarà concesso di spingersi? A chiederselo sono in tanti, tra esperti e scienziati, dopo il “primo impianto di un microchip in un cervello umano” che il patron di Space X e Tesla ha annunciato la settimana scorsa: si tratta del primo prodotto di Neuralink, “Telepathy”, che dovrebbe consentire il controllo dei propri dispositivi elettronici soltanto “con il pensiero”. Una vera rivoluzione per i pazienti affetti da patologie che ne limitano la mobilità. Ma anche un salto in un futuro incerto, secondo Eugenio Santoro, direttore dell’Unità di Ricerca in sanità digitale e terapie digitali dell’Istituto Mario Negri di Milano: «Si va verso l’idea di “Superuomo” - spiega l’esperto di digital health e nuove tecnologie -, dal punto di vista normativo non possiamo farci trovare impreparati».

L’annuncio di Elon Musk su Neuralink ha fatto parecchio rumore. Lei come ha accolto la notizia?

Intanto bisogna tararla rispetto al personaggio che l’ha data. Mi hanno sorpreso le modalità di comunicazione via (ex) Twitter, ma neanche più di tanto. Dietro non c’è alcuna pubblicazione scientifica, ed è questa la cosa particolare di questo genere di annuncio. Che certamente è un annuncio importante.

Non è la prima volta, in realtà, che si realizza un impianto neurale. Qual è la novità?

Si ripercorre un filone di ricerca esistente già da diversi anni, potenziandolo grazie ai mezzi di cui dispone Elon Musk. Rispetto alle tecnologie esistenti ci sono oggettivamente dei vantaggi, come il numero di elettrodi utilizzati, 1024, distribuiti su fili molto sottili che possono trasmettere i dati della stimolazione cerebrale in modalità wireless. Ha pensato a qualcosa di molto interessante, che apre nuovi scenari.

Cioè?

I pensieri vengono tradotti in operazioni che può compiere la macchina. L’idea sostanzialmente è che i dati del cervello, cioè fondamentalmente la pianificazione motoria, come l’idea di muovere un arto, vengano codificati e resi disponibili per comunicare attraverso smartphone e computer. Ciò vuol dire coinvolgere anche Internet e tutti gli strumenti di comunicazione connessi.

Il dispositivo funzionerebbe anche con le protesi?

L’idea è proprio quella, nel caso dei pazienti malati: cioè riuscire a comunicare con protesi robotiche in maniera da riacquisire la capacità di movimento. Rendere possibile questa operazione attraverso Internet, però, significa rendere inutile il passaggio in ospedale, gestendo il paziente da remoto.

Elon Musk dispone di dati e risorse uniche, sottolineano gli esperti. La preoccupa che una tecnologia così avanzata sia nelle mani di un privato?

Questo è il problema dei problemi. Ripeto, non ci sono ancora pubblicazioni. Neanche i dati in base ai quali il Food and Drug Administration (l’ente governativo statunitense responsabile della salute pubblica, ndr) ha dato l’approvazione per passare alla sperimentazione sull’uomo non sono ancora ben chiari. Ma ci siamo già passati: basti pensare al caso di Starlink, che può decidere il destino delle guerre. Il problema è che a gestire questo campo siano poche persone, i soliti noti che dispongono di risorse. Bisognerebbe fare qualcosa dal punto di vista regolatorio, come è avvenuto in parte con l’IA Act per l’intelligenza artificiale, anche se siamo arrivati già in ritardo. E poi c’è altro.

Ovvero?

Concentrare le risorse e le competenze attorno a pochi personaggi è un problema etico e di sicurezza. Bisognerebbe fare in modo di riportare i progetti chiave, come lo è questo, nelle mani pubbliche. Ma di fondi pubblici per ricerche di questo genere ce ne sono sempre meno, in Italia e all’estero. Con i tagli degli ultimi anni sono aumentate le occasioni alla Elon Musk.

Per ora l’impianto è pensato in ambito clinico. Ma l’obiettivo dichiarato è di fondere l’intelligenza umana con quella artificiale.

Se questo sistema dovesse in qualche modo aumentare anche le capacità cognitive, perché poi le possibilità sono numerosissime, si può immaginare di estendere la memoria “all’esterno del cervello”. Si va verso il “Superuomo”. E il legislatore, ma non solo, deve essere molto più veloce di quanto è stato fino ad ora. C’è un enorme problema etico, e bisogna che tutta l’aria etica sia coinvolta nell’ambito della tecnologia, cosa che purtroppo avviene solo parzialmente.

Il rischio è di creare diseguaglianze, in base ai costi del prodotto, se inserito nel mercato?

Pensiamo per esempio all’accesso all’Università: se avessimo la possibilità di potenziare le nostre capacità per raggiungere il quoziente intellettivo richiesto, questo strumento creerebe una discriminazione nei confronti di chi non può permetterselo.

Nel confronto tra Usa e Europa, il discrimine è anche nel metodo di sperimentazione. Il nostro “svantaggia” la ricerca?

Che in Europa si debbano superare dubbi di natura etica lo vedo come un aspetto positivo. Alcune cose non si potrebbero fare. Se pensiamo all’intelligenza artificiale, negli Stati Uniti in questo momento ci sono più di 700 dispositivi usati in ambito sanitario e approvati dalla FDA. Qui siamo più rigidi, perché al primo posto è messa la sicurezza del paziente.

Dati rischi e vantaggi, quando una risorsa può dirsi tale?

Nell’ambito della salute, quando si parla di nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, si fa molta, ma molta, più attenzione. Bisogna inevitabilmente seguire le regole, che ci sono, perché altrimenti sul mercato non ci si può e non si deve andare. Io ritengo che in ogni caso debbano esserci chiare dimostrazioni di vantaggio. E purtroppo noto, negli ambiti esterni alla salute, che l’adozione di certi strumenti a volte è legata soltanto alla moda. Bisognerebbe affidarsi di più al metodo scientifico, in tutti gli ambiti.

Qual è il rischio maggiore in ambito medico?

Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, possiamo pensare ai sistemi che fanno predizione o che individuano i pazienti che sono più o meno a rischio, compiendo una scelta etica non secondaria. Per estremizzare: quando ci sarà da decidere un trattamento di fine vita per determinati pazienti, e a consigliarlo sarà la macchina, si tratterà di decidere tra chi deve vivere e chi deve morire. Ecco, queste cose bisogna gestirle fin da subito: fin dove possiamo permettere che la macchina ci suggerisca o decida al posto nostro?