Meglio perdere il governo che perdere l’anima. Meglio perdere la leadership della Cdu, col rischio di mettere a repentaglio persino il Cancellierato, che deviare dall’identità politica liberale e moderata. C’è una lezione per il centrodestra italiano e anche per il Partito popolare europeo di Donald Tusk, nella decisione con la quale Angela Merkel ha strattonato Annagret Kramp- Karrenbauer, che l’ultimo congresso aveva eletto - sia pure di misura - come segretaria della Cdu, per aver lasciato che si ipotizzasse in Turingia una mésalliance di governo tra i Cristiano- democratici e gli estremisti di destra dell’Afd.

Una convergenza che avrebbe deviato l’identità politica della Cdu, la sua intera storia, l’andamento impresso dal ventennio merkeliano, e anche i locali patti con l’elettorato, essendosi impegnata la Cdu per iscritto prima delle elezioni in Turingia a non allearsi mai né con la sinistra- sinistra della Linke, né con la destra estrema della Afd.

A cascata, come è noto, le dimissioni di AKK da segretaria della Cdu ( anche se sarà lei a portare il partito alle elezioni politiche del 2021, e resta ministro della Difesa).

Ma annunciando che non si candiderà come Cancelliera, AKK ha rotto uno schema tradizionale della politica tedesca, la coincisione del ruolo di segretario politico e candidato premier, aprendo scenari di instabilità imprevedibili sinora a Berlino. Ma tutto, per l’appunto, purché non accadesse «l’imperdonabile», per usare le parole di Merkel.

E tutto il contrario della via che il centrodestra italiano va percorrendo sin dall’apparizione di Matteo Salvini, con Berlusconi che vagheggia una propria supremazia, e anche quando tenta flebilmente di affermarla deve poi rientrare nei ranghi.

E’ la forza dei numeri, certo. Ma è anche la debolezza di profilo politico che ormai gli viene apertamente rinfacciata dai suoi stessi ranghi.

Dalla fuoruscita di Paolo Romani a Mara Carfagna, che ha sì fondato la sua “Voce Libera” ma è costretta a ripetere come un mantra «non ci sarà mai un successore di Berlusconi perché Berlusconi è irripetibile», i moderati di Forza Italia sono allo sbando, sparpagliati e sfibrati proprio dal decennale e irrisolto tema della successione.

E allo sbando è anche e soprattutto il loro elettorato, preda degli appetiti dei Renzi, dei Calenda, e in parte dello stesso Salvini e della Meloni, che recentemente tentano, sia pure di quando in quando, di sparpagliare briciole di moderazione in un intero catalogo di xenofobia, antieuropeismo, e concezione dello Stato assistenziale quando non direttamente autoritario.

Certo, di Berlusconi si deve anche notare che nel ventennio di dominio sulla società italiana ha richiamato quell’identità moderata solo a fasi alterne, e solo quando gli conveniva.

Ma da Merkel che tiene ferma l’identità liberale della Cdu dovrebbe trarre esempio anche il Partito popolare europeo, da meno di 3 mesi guidato dal polacco liberale Donald Tusk, che solo qualche giorno fa ha per l’ennesima volta riconfermato la «sospensione» dal partito di Fidesz e di Orbàn, il premier ungherese ostracizzato per le numerose violazioni dello stato di diritto in Ungheria. Mentre il Ppe ne discuteva, Orbán era a Roma a colazione da Berlusconi che lo blandiva, devi rimanere nel Ppe, le porte te le spalanco io, e poi a convegno con la Meloni, alla quale assicurava di voler portare i suoi 13 eurodeputati nel gruppo delle destre nazionaliste.

Il Ppe che traccheggia sui valori è lo stesso Ppe che tenta di ostacolare la via del cambiamento per l’Europa, dal rigorismo a una politica economica espansiva, più il linea con lo spirito dei Trattati.

Che abbia perso terreno alle ultime europee, come ovunque accade anche al centrodestra italiano imbelle davanti alle politiche a dir poco illiberali della Lega, è qualcosa su cui riflettere. Merkel, a quanto pare, l’ha già fatto. Anzi, non ne ha neanche avuto bisogno.