Vero è che il generale Agosto congiura a favore della pigrizia, soprattutto intellettuale. Però non sempre, e non per forza. Intanto va detto che ci sono due livelli da analizzare. Il primo e più superficiale riguarda il tema specifico: la raccolta di rifiuti e l’annessa caratura politica del nuovo sindaco. Come è stato giustamente osservato sulla Stampa, è risaputo che la partita della «monnezza» romana è ghiottissima in quanto attorno ad essa girano molti interessi, molti incarichi, moltissimi soldi. Ed inoltre - ma ovviamente proprio per questo - è una partita assolutamente trasversale. Che perciò, mettendo per un attimo tra parentesi le formidabili attenzioni malavitose e di corruttela, taglia a fette il mondo della politica, delle municipalizzate, dei sindacati grandi e piccoli, dei giornali, delle società tricolori ed estere: insomma quel mastodontico universo che attorno alla raccolta e smaltimento dell’immondizia ruota e, spesso, prospera. Logico, perciò, che dinanzi ad una torta così grande prima di partire lancia in resta all’attacco ci sia un sussulto di ritegno, un riflesso di ponderatezza relativo al proprio giardinetto di convenienze. Logico anche, passando alla caratura politica della neo-eletta sindaco, che avendo la Raggi guadagnato il Campidoglio con oltre il 67 per cento dei consensi, diventi complicato immaginare che a poche settimane dal suo insediamento i due romani e più su tre che l’hanno votata non tanto ammettano ma anche solo pensino di aver fatto uno sbaglio.Già sistemate così le cose, risultano più che evidenti le ragioni che inducono tanti - fatte salve le inevitabili e scontate polemiche da parte degli avversari - a voler, prima di esprimersi, attendere e riflettere pesando giudizi e valutazioni. Serviranno altri mesi (per capirci: ben oltre ottobre-novembre, data di celebrazione del referendum costituzionale) e parecchie altre vicissitudini negative perché la macchina di un possibile rigetto si metta in moto. Sempre che succeda, naturalmente.Non basta. C’è un secondo livello, più profondo e più decisivo. Attiene al dato più eclatante evidenziato all’indomani del trionfo grillino all’ombra del Colosseo. Cioè che Roma rappresenta il banco di prova vero per stabilire se i Cinquestelle sono un fenomeno politicamente folkloristico, di stampo ribellistico e inaffidabile, a cui è impensabile affidare il governo pena salti nel buio, oppure se all’inverso il Movimento contiene energie e capacità tali da rompere equilibri politici vecchi, nuovi e perfino nuovissimi e candidarsi a palazzo Chigi (con quale leader si vedrà) senza che questo produca il caos sui mercati finanziarti e disarticoli nel profondo il Paese.Nessuno può scandalizzarsi se si fa notare che tanti poteri, forti o deboli che si voglia, stazionano in surplace, in attesa di valutare l’ircocervo pentastellato, di comprenderlo, assimilarlo, digerirlo. E poi all’occorrenza sputarlo fuori oppure metabilizzarlo, qualcuno magari cercando anche colleganze prima e - perché no? - alleanze dopo. A chi piacciono le metafore forti, l’atteggiamento nei confronti dei grillini di una parte non trascurabile dell’establishment italiano, di destra e di sinistra e magari ex di entrambi; di una una fetta importante e forse maggioritaria di quelle elitès che il “cambiamento” ha messo a rischio irrilevanza, ricorda il mostro descritto da Ridley Scott nel film Alien: attendere per capire se una volta ingurgitato entra a far parte dell’organismo ospite oppure se ne fuoriesce, distruggendolo.Ecco perché il fattore immondizia a Roma ha una valenza politica che supera alla grande e travolge Malagrotta, gli eventuali rapporti professionali e consulenziali dell’assessore Anna Muraro; le irrequietezze e i sospetti dell’Ad di Ama, Daniele Fortini, la rancorosa belligeranza piddina. In ballo c’è molto di più che il destino specifico di una manciata di Nomenklatura Capitale. A Roma, sulla monnezza, c’è in ballo l’immagine di un partito che già ora è il primo del Paese. Soprattutto si gioca un pezzo essenziale del futuro politico-amministrativo italiano. Inutile sorprendersi se c’è chi passa notti insonni facendo calcoli su come attrezzarsi per accompagnarlo o contrastarlo. Da come andranno le cose a Roma scaturirà il vaticinio su chi nei prossimi anni comanderà davvero in uno dei più industrializzati Stati del pianeta.Naturale perciò che ci sia cautela. Naturale che tanti, magari trattenendo il fiato, si augurino, progettino o pianifichino coinnivenze non necessariamente in quest’ordine; mentre altri passino in rassegna, oliandole, le armi da usare per distruggere l’alieno. Si capisce perché è scattato l’allarme rosso riguardo la possibllità che al battottaggio i Cinquestelle prevalgano sul Pd con annessa parola d’ordine: tutto, ma cancellate il secondo turno. E anche il monito, indiretto ma palese, lanciato da Matteo Renzi sul fatto che se al referendum vincono i No la strada dei grillini verso palazzo Chigi è spianata, assume una valenza specifica: in realtà un avvertimento indirizzato dentro e fuori i confini nazionali. Paradossale ma non inverosimile: i romani che gettano le buste di organico nei cassonetti perché si impegnano nella differenziata o i tanti altri che trasformano i punti di raccolta in discariche, si giocano a dadi il destino dell’Italia. Chissà se e quanto ne sono consapevoli.Molta spazzatura, poca onestà: è la Roma a 5stelle che al momento emerge. Giusto domandarsi cosa sarebbe successo se uno degli assessori di Marino o Alemanno avesse avuto rapporti di consulenza prima e di controllo poi con un’azienda di proprietà comunale. E giusto diviene tentare di comprendere il perché di tante cautele su una questione che in altri momenti avrebbe infiammato il confronto politico.