«Sa qual è il paradosso? Che persino i giornali italiani hanno concentrato l’attenzione sui connotati italianistici, per così dire, del Qatargate. Ci facciamo del male da soli, come se non bastasse la distorsione in corso nel resto d’Europa».

Perché alla fine, presidente Fara, negli altri Paesi dell’Ue se la cavano così? Liquidano le presunte eurotangenti come una macchia lasciata dalla solita Italia sporcacciona?

«Perché, lei aveva dei dubbi?».

Sul Dubbio abbiamo ricordato l’analisi che Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, propone da anni, col suo lucido disincanto, a proposito della corruzione e soprattutto delle terrificanti posizioni che il Belpaese occupa in tutte le graduatorie internazionali sul fenomeno: a complicare la faccenda, è la tesi del sociologo, è lo scarto fra realtà e obiettività. Nello specifico, fra corruzione percepita e reale. «Che in Italia», ripete ancora una volta il fondatore dell’Eurispes, «ci sia una percezione ingigantita della corruzione è evidente, ed è spiegabile. Il paradosso è che ora la nostra distorsione percettiva ci ritorna come un boomerang attraverso i media degli altri Paesi europei».

Ma quindi lei dice che in realtà, tra le opinioni pubbliche del Vecchio Continente, non ci sarà alcun particolare crollo di fiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie?

Ma intanto mi viene da pensare che il caso delle presunte eurotangenti potrebbe confermare una semplicissima verità: diversamente da quanto noi italiani pensiamo, non sono le istituzioni ma gli uomini a essere inaffidabili. E poi, per parafrasare Shakespeare, potremmo dire che c’è del marcio persino a Strasburgo e a Bruxelles, così come nella Danimarca dell’Amleto. Ma al di là delle battute, la diversa percezione che abbiamo del malaffare nel nostro Paese rispetto al resto d’Europa influisce tantissimo sulla reazione che il cosiddetto Qatargate potrà suscitare, e in realtà già suscita, da noi e in altri Paesi.

Anche stavolta noi ingigantiremo e gli altri vedranno viceversa assai meno di quello che esiste?

Allora, partiamo dalla condizione oggettiva dell’Italia comparata al resto del continente. Noi abbiamo vissuto Mani pulite, un trauma che trent’anni non sono riusciti a sanare. Si è affermata, da lì, l’idea di un sistema deviato, in cui è tutto marcio, da condannare. Tutto quanto è politica è cattivo, e non funziona. Nel nostro immaginario collettivo quel paradigma è insuperabile. Altrove, non hanno certo avuto una Mani pulite come la nostra. E anzi hanno coltivato la compiaciuta convinzione di vivere, se non proprio nel migliore dei mondi possibili, certamente in un mondo migliore della corrotta Italia.

Insomma, ci siamo procurati da soli questo tremendo stigma.

Be’, da soli... ce lo siamo procurati anche per virtù specifiche del nostro sistema giudiziario. Ricordiamoci come il fattore decisivo, rispetto all’idea che un certo Paese è corrotto, sia essenzialmente uno: la trasparenza. È un meccanismo che riguarda qualsiasi fenomeno sociale: esiste in base a come lo racconti, lo denunci. Prendiamo la Francia: ecco, i cittadini francesi ritengono di vivere nel migliore dei mondi possibili perché da loro non esiste un giornalismo giudiziario ficcante come il nostro, né una magistratura autonoma, indipendente e dunque efficace come la nostra. Più indagini vengono aperte, più i media ne parlano, più corruzione si crea, quanto meno dal punto di vista della rappresentazione sociale.

Chiarissimo. Ma quindi lei dice che all’estero c’è un atteggiamento in fondo più sereno, sul Qatargate, rispetto alla reazione verificatasi da noi?

In generale non credo che l’aggettivo “sereno” sia il più adatto a descrivere l’atteggiamento che, nella maggior parte dei Paesi europei, è diffuso rispetto alla corruzione. Casomai c’è una differenza, come detto, di disponibilità dell’informazione e, sul piano strettamente giudiziario, anche di esercizio dell’azione penale, che da noi è obbligatorio ma che funziona diversamente altrove. Poi è chiaro che in tutte le opinioni pubbliche europee ci sarà un innalzamento dell’attenzione nei confronti delle istituzioni comunitarie, ma da quanto si legge sui media stranieri, si parla essenzialmente di corruzione all’italiana.

L’italian job.

Esatto. Siamo noi, brutti, sporchi e cattivi, ad aver infettato, con i nostri soliti e corrotti metodi, persino la linda e pinta Europa. Non mi pare di intravedere un tracollo di credibilità, all’estero, per le istituzioni dell’Ue. Hanno trovato il modo di scaricare il problema addosso a noi.

Siamo il capro espiatorio persino del Qatargate.

Siete arrivati e siete stati capaci di contagiare la pulita e tranquilla Europa, persino il Parlamento di Stasburgo, la più democratica delle istituzioni europee.

Davvero si risolverà tutto così?

Ci sono due possibilità, legate al racconto dei media: se prevarrà l’interpretazione secondo cui sì, potrebbe anche essere esistito, come sostengono i giudici titolari dell’inchiesta, un giro di corruzione sull’asse Doha-Strasburgo, ma non si tratta di un dato che segna l’intera dimensione eurocomunitaria, allora saremo su un piano probabilmente di realtà e ci sarà pure maggiore equilibrio rispetto alla connotazione italiana della vicenda. Ma considero più probabile che si affermi quell’altra semplicistica interpretazione: l’Italia ha corrotto l’Europa.

Ma in tutto questo le statistiche sulla corruzione continuano a essere basate sulle interviste ai cittadini?

E altrimenti come potrebbe spiegarsi il fatto che in queste classifiche l’Italia viaggia a braccetto col Botswana? Nell’analisi di un fenomeno come la corruzione sarebbe ora di passare dalla percezione alla rilevazione oggettiva. In incontri organizzati con l’Anac ne abbiamo parlato anche ai vertici di Transparency: ancora una volta le vostre statistiche relative alla presenza della corruzione si sono basate su alcune migliaia di interviste ai cittadini, ma gli indicatori oggettivi dove sono?

E che vi hanno risposto?

Non sanno cosa rispondere, sono in difficoltà: provano a dare il contentino, pensi un po’, per cui l’Italia nel 2021 è riuscita a scalare dalla 52esima alla 42esima posizione... ma possiamo mai essere paragonati a Paesi del Centrafrica? È attendibile una fotografia del genere?

In realtà noi siamo più attivi nelle azioni di contrasto, giusto?

Oltre ad avere una magistratura libera di indagare su tutto, disponiamo anche di forze di polizia efficientissime, dotate di sistemi di verifica che in altri Paesi neppure immaginano.

La coincidenza temporale con la fase clou dei Mondiali ha amplificato il Qatargate?

Le faccio io una domanda: l’assegnazione dei Mondiali al Qatar è un fatto singolare o quel Paese presentava tutti i requisiti per ottenere l’assegnazione?

Be’, sembra che le istituzioni calcistiche mondiali si siano fatte pesantemente condizionare dal potere finanziario dello sceicco.

Ecco: e mi scusi, ma le risulta che le organizzazioni calcistiche internazionali siano tutte italiane? Non è così, ovviamente.

Paghiamo la nostra solerzia nel contrastare la corruzione.

E la mafia, che i tedeschi hanno scoperto improvvisamente con la strage di Duisburg: la verità è che le organizzazioni criminali seguono la pista dei soldi. Da noi è impossibile che non siano tracciate, visti i nostri pm e la nostra polizia. Ah, un’ultima diversità del sistema italiano: in Francia per esempio, il ministro dell’Interno ha il comando diretto delle forze di polizia, in Italia rispondono invece a una magistratura assolutamente autonoma e libera. Ecco, una cosa del genere credete che conti zero, in quella capacità di rendere visibile la corruzione che da noi è tanto più sviluppata che altrove?...