Assediati, dopo l’arresto di Marcello De Vito, dalla “questione romana” che tocca le più intime corde identitarie; sotto scacco per la Tav; sconcertati per il no all’autorizzazione a procedere a Salvini; inquietati e preoccupati per i sondaggi con l’indice perennemente volto all’ingiù. E’ la fotografia poco confortante dei Cinquestelle che le ultime vicende rimandano. Sono passati dodici mesi ma sembra un secolo dalla travolgente vittoria elettorale del 4 marzo 2018: un anno di governo ha scarnificato l’immagine di un MoVimento travolgente e determinato a cambiare il Paese. Nel carniere dell’attuazione del Contratto vagola solitario il reddito di cittadinanza peraltro non ancora avviato: magro bottino soprattutto se paragonato alle premesse, roboanti e immanenti. La scatoletta di tonno è stata aperta: ma dentro, l’M5S ha trovato solo briciole.

E’ con questo retroterra assai poco esaltante che Luigi Di Maio si appresta ad accogliere il verdetto delle regionali in Basilicata, dove si vota domenica prossima. Un po’ come mettere la testa sul ceppo in attesa del colpo di mannaia, visto che anche a Potenza e Matera il risultato non dovrebbe arridere ai pentastellati che pure alle elezioni politiche avevano fatto man bassa di consensi. Vero è che, come accennato, ben altri sono i grattacapi che affliggono il vicepremier e ministro dello Sviluppo. Però non c’è dubbio che una nuova batosta certificata nei seggi risulterebbe sale sulle ferite.

Che fare, dunque?

Complicato rispondere. Il primo riflesso porterebbe ad accentuare la distanza - anche a costo di esacerbare la conflittualità - con la Lega. Lo scontro sulla Tav ne è un esempio; gli affondi di Di Maio sulla sicurezza interna poco tutelata e sottodimensionata rispetto alla lotta all’immigrazione dall’Africa, la conferma. Tuttavia si tratta di un’eventualità da maneggiare con cura. Non è interesse di Salvini far precipitare le cose fino alla rottura: scenario che porterebbe quasi certamente a nuove elezioni politiche e proporrebbe al capo leghista sono una strada: l’accordo con FI che invece è esattamente ciò che non vuole. L’alternativa è la spaccatura del Mo-Vimento con un’ala governista pronta ad allearsi con Carroccio. Epilogo possibile, ma comunque difficile e pieno di incognite. Ma accentuare la conflittualità comunque renderebbe la vita difficile al governo, seminando di ostacoli il suo cammino. Se il primo è un boccone indigesto da mandar giù per Di Maio, il secondo rischia di essere ugualmente se non perfino più ostico: terremotare l’esecutivo, infatti, è autolesionismo. Sia per l’M5S che per Di Maio stesso.

Un’altra strada possibile è accentuare il carattere e la specificità del cambiamento che l’essere la prima forza politica comporta. Sentiero anche questo accidentato, in particolare perché per essere percorso comporta l’obbligo di avere sospensioni adeguate. Fuor di metafora, per imporre un’egemonia servono le idee e serve la capacità politica di implementarle e portarle a compimento. E’ proprio il corredo che al MoVimento manca. Di più: l’esserne privo è stato vissuto con orgoglio e conferma della “diversità” grillina rispetto agli altri partiti. Però il risultato di questa ricercata e specifica sindrome è sconfortante: l’egemonia l’ha imposta la Lega, sull’immigrazione e non solo. Mentre fuori dal perimetro gialloverde, il Pd cambiando leadership ha impresso una spinta che lo sta portando ad un passo dal consenso pentastellato. Alcuni sondaggi indicano che, seppur in discesa, l’ha addiritura sopravanzato.

Il che significa che i Cinquestelle adesso sono tra due fuochi, stretti nella morsa da un lato di un alleato insopportabilmente ingombrante e dall’altro di un competitor diventato agguerrito e corsaro. Eppure, a dispetto delle difficoltà e degli impacci fin qui mostrati, sarebbe un errore considerare i Cinquestelle in via di estinzione. Magari la forma- partito, se così si può chiamare, potrà essere adattata ma la cosa più vera è che nel sentimento profondo del Paese le ragioni che hanno spinto così in alto l’ex creatura di Beppe Grillo non sono scomparse. Tutt’altro.

Il pericolo è che possano esplodere di nuovo, senza nessuno più in grado di raccoglierle e dare loro rappresentanza. Che poi è la quintessenza della politica. Quella sicuramente migliore.