Craig M. Peters è l'avvocato californiano della famiglia di
Finnegan Lee Elder, il ragazzo condannato in primo grado per l'omicidio del vicebrigadiere
Mario Cerciello Rega, insieme al suo amico Gabriel Natale Hjorth. Peters per 13 anni è stato avvocato difensore, ora assiste le vittime di catastrofi e incidenti che comportano gravi lesioni o la morte. È stato professore di Diritto Costituzionale alla San Francisco Law School. In questa prima sua lunga intervista ad un giornale italiano analizza, avendo vissuto insieme ai suoi colleghi Renato Borzone e Roberto Capra le fasi del processo, le distorsioni del sistema giudiziario e mediatico del nostro Paese.
Avvocato, a febbraio inizierà l'appello. Cosa si aspetta da questo secondo grado?
Ci auguriamo che i giudici dell'Appello guardino al caso attraverso un diverso punto di vista. A me è parso che nel primo grado i magistrati abbiano avuto dei pregiudizi in merito a come si sono svolti i fatti. Considerato che probabilmente non ci sarà tutto il clamore mediatico che ha segnato il precedente giudizio, auspichiamo che i magistrati possano decidere in maniera più serena e razionale. È comunque difficile ipotizzare l'esito di un processo, sia esso celebrato in Italia, negli Stati Uniti o altrove. In un sistema giuridico amministrato da persone e non da computer ci può essere sempre un certo condizionamento, un
bias, soprattutto quando l'attenzione dei media è alta e in qualche modo può mettere pressione su chi deve giudicare.
In particolare qual è il suo parere su come i media italiani hanno trattato la vicenda?
La mia percezione è che non abbiano fatto un lavoro diligente e scrupoloso per cercare di capire come sono veramente andati i fatti quella notte, soprattutto in merito alla condotta dei carabinieri. Alla fine, fatta eccezione per poche testate, hanno lavorato in maniera superficiale privilegiando il sensazionalismo all'inchiesta giornalistica. Ad esempio, quando sono stati interrogati i carabinieri i giornali hanno semplicemente riportato le loro dichiarazioni, senza alcun vaglio critico, anche su aspetti evidentemente incoerenti.
Invece negli Stati Uniti?
Non molto diversamente rispetto all'Italia. Ho avuto la sensazione che qui da noi abbiano semplicemente riportato quello che scrivevano o dicevano in Italia, una specie di riflesso. Questo non è condivisibile. Mentre in Italia c'è stato un comprensibile risvolto emotivo sulla vicenda, se pensiamo ad un carabiniere morto appena tornato dal viaggio di nozze, dai media statunitensi mi sarei aspettato un distacco tale da poter raccontare la storia in maniera più obiettiva. Anche come si incornicia il racconto ha un impatto di un certo tipo sul lettore: una cosa è titolare "carabiniere ucciso dopo uno scambio andato male" altro è "turista americano accoltella carabiniere undici volte".
Avvocato lei prima parlava di bias che potrebbero inficiare il giudizio. Questo giornale negli ultimi giorni ha pubblicato parti del primo motivo di appello dei legali italiani di Finnegan Lee Elder che chiedono la nullità del processo per mancanza di imparzialità del giudice. Che ne pensa?
Credo che tutti noi abbiamo dei
bias, è una condizione di ogni essere umano, che li sviluppa durante la sua vita. Il problema è se questi
bias condizionino il giudizio e l'approdo ad una decisione razionale. In questo processo, trattandosi di un caso molto coinvolgente anche emotivamente come abbiamo già detto, è stato più difficile forse impedire ai
bias di influenzare la sentenza. Voglio essere chiaro: tutti abbiamo dei pregiudizi, l'importante è che un magistrato non li faccia prevalere quando prende le sue decisioni. È un compito molto difficile da svolgere: alcuni magistrati lo fanno meglio di altri. In questo processo ho notato che la Corte ha avuto delle difficoltà nell'essere obiettiva.
Per il nostro lavoro siamo stati criticati anche dalla sezione locale dell'Associazione Nazionale Magistrati (Anm). Ci hanno detto, tra l'altro, che le sentenze si criticano nelle sedi opportune. Anche negli Stati Uniti accadono queste cose?
Qui da noi i media sono liberi di criticare i giudici, le sentenze, e anche il modo in cui un processo è stato gestito. C'è questa libertà di stampa. La mia percezione è che invece in Italia si tenda a dover salvare la forma, mentre da noi si da più valore ad un giudizio, anche aggressivo, che dica però le cose come stanno. Badare più alla forma contrasta con la libertà e l'onestà, e impedisce al sistema di migliorare anche attraverso le critiche. Il popolo deve sapere se, ad esempio, dei magistrati, a causa del loro pregiudizio razzista, influenzano le sentenze che emettono, non applicando quindi logica e razionalità. In una società sana occorre trovare la giusta via di mezzo tra la forma e la necessità di stigmatizzare comportamenti sbagliati. Le decisioni delle persone che sono in una posizione di potere - come i magistrati, le forze dell'ordine, i politici - devono poter essere giudicate affinché quello stesso potere non venga usato più in maniera impropria.
Il nostro giornale ha sostenuto che una condanna all'ergastolo per due giovani ragazzi va contro il principio costituzionale della rieducazione. Eppure alcuni commentatori sostengono che i due imputati sono fortunati perché se fossero stati processati negli Usa avrebbero avuto la pena di morte. Come replica a questa obiezione?
Prima di tutto voglio dire che se questo processo si fosse celebrato negli Stati Uniti i due imputati sarebbero stati assolti. Qui da noi una operazione come quella portata avanti da Cerciello Rega e Varriale non si sarebbe svolta con quelle modalità: agenti in borghese, in più senza manette e senza mostrare il tesserino. Su questo ultimo punto a nostro parere non c'è alcuna prova. Ci sono solo le parole di Varriale che è un teste a nostro giudizio inattendibile perché ha mentito. Altri elementi ci portano a dire che l'operazione è stata svolta in una maniera che non si sarebbe mai verificata qui da noi. E un comportamento del genere delle forze dell'ordine sarebbe stato fortemente criticato negli Stati Uniti. In merito alla sua domanda, capisco che c'è una esigenza di punire ma discutere di quale Paese avrebbe portato ad una sentenza più pesante non è pertinente. La severità della sentenza rispecchia i valori della società. Adesso i nostri valori non coincidono con quello della pena capitale, infatti ci sono molti Stati dove è stata abolita.
È vero che Gabriel Natale Hjorth non è un suo assistito, ma cosa ha pensato quando lo ha visto bendato e con le mani legate in una caserma dei Carabinieri?
Appena sono trapelate le prime notizie, ho subito capito che c'era qualcosa che non andava in questa storia, nel racconto dei carabinieri. Un bravo avvocato non dovrebbe giudicare fin quando non ha abbastanza elementi per farlo, tuttavia è chiaro che in quella circostanza sono state violate delle regole. Le persone che dovrebbero seguire le regole e farle rispettare sono state le prime a disattenderle. Come in tutti i gruppi ci sono persone che si comportano bene e male. In questo caso è difficile comprendere le motivazioni che li hanno condotti a fare quello che abbiamo visto.
Lei è stato nella prima parte della sua carriera un avvocato penalista. Adesso assiste le vittime. In più ha potuto conoscere il sistema giudiziario italiano. Quali sono le differenze più marcate che lei riscontra?
Credo che negli Stati Uniti ci sia una forte convinzione del potere della cross examination, il miglior modo per scoprire la verità. È davvero raro che il controesame possa essere limitato dalla Corte, a differenza di quello che ho visto in Italia. Inoltre negli Stati Uniti, dove vige il sistema accusatorio da molto più tempo che in Italia, sono state fatte diverse ricerche a livello neuropsicologico secondo le quali le persone comprendono di più se in aula si usano dei grafici e dei tabelloni. La giuria ricorda meglio se mentre ascolta guarda anche una immagine. Qui da noi, poi, i giurati vengono selezionati in modo molto accurato, cercando di capire se abbiano dei pregiudizi. Ad esempio viene chiesto loro: 'se durante la notte incontri per strada una persona di colore ti spaventi?'. In Italia invece la giuria popolare non subisce un processo di selezione, non si sa chi si ha davanti. Inoltre, da voi, noto che i tempi del processo sono più lunghi rispetto ai nostri. Ciò ha un valore positivo ma anche negativo perché più passa il tempo e più è difficile avere ricordi genuini. E sicuramente gli avvocati hanno una maggiore capacità oratoria rispetto al nostro avvocato medio.
Qui in Italia di solito i giurati sono persone con un basso livello culturale: una volta, in un processo per omicidio, un giurato popolare della Corte di Assise di Appello, dopo la sentenza, commentando su Facebook, disse che aveva partecipato ad un processo in Cassazione.
Lo confesso: ho un pregiudizio per il sistema giuridico americano che ritengo il migliore ma che comunque può essere perfezionato. Credo sia importante far emergere che nel nostro sistema non è necessario avere un buon livello di istruzione. Il potere della giuria è che rappresenta una amalgama della comunità. Quello che conta è che la giuria sia formata da un'ampia varietà di persone - casalinghe, insegnanti, occupati, disoccupati, Phd - che raffigurano il variegato spettro della nostra società, con i loro diversi punti di vista. Il filtro che un ingegnere applica ad un fatto sarà diverso da quello di un autista ma sono entrambi importanti. Da noi il giudice è solo un arbitro che deve far rispettare le regole del dibattimento.
In Italia decidono i giudici togati.
Quello che mi stupisce è che nel vostro sistema i giudici e i pubblici ministeri facciano parte dello stesso ordine. Entrambi sono coinvolti nelle promozioni degli altri. Negli Stati Uniti questo non è pensabile perché non ci deve essere neanche la semplice apparenza di un pregiudizio da parte del giudice. Ho notato che durante un'udienza del processo per la morte del carabiniere, un giudice è sceso dalla sua scranna e ha parlato prima con un avvocato di parte civile e poi con il pm: negli Stati Uniti sarebbe stato un scandalo perché neanche è ammesso che si dicano cosa faranno nel fine settimana.
Molti avvocati qui in Italia si lamentano del fatto che durante il processo giocano 1 contro 3 (pubblico ministero, parti civili, giudici spesso parziali).
Sì, ha ragione. O. J. Simpson nella causa penale fu assolto, in quella civile condannato. Forse il sistema italiano da questo punto di vista è più efficiente ma il problema è che forse così si trucca la partita. Nel caso di cui stiamo discutendo la difesa si è trovata contro i magistrati, le parti civili, i carabinieri, e politici che si sono espressi in senso colpevolista.
Altri commentatori sostengono che ci sia uno strisciante antiamericanismo verso questo caso che potrebbe indurre i giudici ad essere più severi, anche dopo il processo Amanda Knox. Oppure spingere il nostro Paese a farsi valere. Pura fantascienza?
Non sono nella posizione di poter fare affermazioni su questo. Non ho una conoscenza così approfondita della cultura e della politica italiana. L'unica cosa che posso dire è che il vero modo di dare prova del proprio potere è mostrare di avere compassione. Nella storia si vede spesso come sia semplice essere crudeli e punire, mentre l'essere compassionevoli è sintomo di vera forza.
Come giudica le condizioni di detenzione di Finnegan Lee Elder?
Qualsiasi detenzione è dura, a prescindere dal Paese dove la si sconta. Ho avuto diverse esperienze nelle prigioni americane e posso dire che in Italia le carceri sono migliori, perché si sente una maggiore umanità sotto diversi punti di vista. Certo, spesso in carcere, sia qui che in Italia, vigono regole arbitrarie o atteggiamenti punitivi non richiesti, ma ho un profondo rispetto per il sistema penitenziario italiano dove si tenta di bilanciare la privazione della libertà per il reato commesso con la speranza di essere rieducato.