Caro Direttore, Vedo che il Dubbio non ha dubbi sulla sentenza della Corte Suprema Usa in materia di aborto. Articolo, titoli e interventi a senso unico, tutti ideologicamente carichi e tutti espressi come se si parlasse in nome e per conto dell’intera avvocatura italiana. La informo che non è affatto così. Molti avvocati italiani, tra cui umilmente anche il sottoscritto, difendono la vita fin dal concepimento e salutano la sentenza della Corte Suprema statunitense come una pagina di civiltà, che restituisce ai Parlamenti degli Stati membri la potestà legislativa, sempre più oggetto di esproprio, da questa e dall’altra parte dell’Atlantico, da alcuni appartenenti all’ordine giudiziario, convinti di poter affermare la propria onnipotente supplenza verso gli altri poteri dello Stato. Tra l’altro, proprio la tradizione garantista del quotidiano da lei diretto dovrebbe salutare con favore il riequilibrio dei poteri e il consolidamento del principio della divisione dei poteri.Dissento pertanto radicalmente dalla posizione univocamente sostenuta dal suo quotidiano, che proprio in forza del suo nomen avrebbe ben dovuto e potuto dare rappresentanza al pluralismo di punti di vista in relazione al delicato tema dell’aborto, evitando di allinearsi acriticamente al pensiero unico, oltretutto con slogan che nulla hanno a che fare con il dovuto (ma mancato) approfondimento scientifico di una così lunga, ponderata e documentata pronunzia giudiziaria della cui portata storica nessuno può dubitare e che non può essere certo liquidata con battute ideologiche.Buon lavoro. E abbia dubbi, specialmente davanti al pensiero unico globale. Sen. Avv. Simone Pillon Caro Senatore e Avvocato Pillon, innanzitutto la ringrazio sinceramente per la lettera che ci ha inviato. Mi lasci però chiarire, prima di tutto, che il Dubbio non ha la presunzione di parlare a nome degli avvocati italiani, anche perché, grazie a Dio, l’avvocatura non è un blocco monocorde ma una comunità polifonica dove convivono liberamente idee di ogni tipo, spesso in civilissimo contrasto tra loro. E questa è una ricchezza che il Dubbio cerca di valorizzare ogni giorno e della quale si nutre per portare in edicola un giornale che sappia complicare le cose e le questioni, e non semplificarle, banalizzarle. Ciò non toglie, caro Senatore, che il Dubbio ha una sua identità: un'identità fluida, mobile, sempre pronta ad accogliere critiche  - anche le sue - ma comunque ha una sua identità basata su due, tre punti che, come Avvocato e come Senatore della nostra Repubblica, non potrà non condividere: i diritti, le libertà, il pluralismo. Sulla vicenda che lei segnala - non tema, non ho alcuna intenzione di sfuggire al discorso - il Dubbio è da sempre convinto che da anni la politica stia banchettando sul corpo delle donne, divenuto oggetto di scontro spesso moralistico e paternalistico; ed è su questo che invitiamo i nostri interlocutori a confrontarsi. Caro Senatore, intendiamoci, non ho alcuna velleità di convincerla, mi accontento del fatto che anche lei sia parte (perché no, anche come voce critica) della comunità del Dubbio: questo mi onora e mi fa sinceramente piacere. E sono certo che potrà utilizzare questo giornale non solo per riaffermare le sue idee ma anche per metterle in discussione. È un lavoro lungo e difficile, caro Senatore, ma ricco di soddisfazioni. La saluto cordialmente e spero che torni presto a “trovarci”. Davide Varì, direttore de Il Dubbio