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Le tesi sostenute dal presidente Berlusconi nella lettera inviata agli elettori e in diverse interviste televisive sono prive di fondamento obiettivo. Il presidente Berlusconi utilizza anche concetti («deriva autoritaria», «riforma nemica della democrazia») che evidentemente derivano da una sorta di assimilazione del linguaggio tipico di una parte dei suoi compagni del No (Travaglio, Zagrebelsky, il giudice Caruso, una parte dell'Anpi e di Magistratura Democratica). Nel merito Berlusconi sostiene che «se la riforma venisse approvata renderebbe impossibile governare per il centrodestra o per chiunque tranne il Pd». Secondo Berlusconi «avremmo un Senato nel quale la sinistra avrebbe automaticamente una maggioranza assoluta almeno del 60%", un Senato che "conserva compiti importantissimi» e «anche se gli elettori dessero la maggiorana a noi, i nominati del Pd al Senato potrebbero bloccare l'azione di governo».Ma la riforma prevede ben altro. Innanzitutto il Senato non può bloccare in alcun modo l'azione di governo. Infatti su tutte le leggi che attuano il programma di governo, comprese le leggi di bilancio, il Senato può solo proporre modifiche, non ha alcun potere di veto, perché l'approvazione definitiva spetta alla sola Camera dei deputati.In secondo luogo, il Senato non è composto dagli esecutivi (come nel Bundesrat) ma da consiglieri e sindaci ripartiti in ragione proporzionale. Pertanto, anche se le coalizioni di centrosinistra hanno vinto la maggior parte delle ultime elezioni regionali (ma non quelle di Lombardia, Veneto e Liguria), nella prima composizione del Senato il Pd non disporrà affatto del 60% e neppure della maggioranza assoluta dei senatori (che potrebbe essere raggiunta da un partito solo se esso vincesse, da solo, tutte le elezioni regionali, senza eccezioni). Occorre ricordare che questa composizione del Senato è frutto di un accordo raggiunto con Forza Italia in prima lettura e poi non è stato più modificato. Forza Italia ha votato a favore con dichiarazioni addirittura entusiaste. Anche sull'Italicum, a suo tempo, Berlusconi ha dichiarato: «L'Italicum è lo strumento per superare quella frammentazione endemica del quadro politico» e, poi, testualmente: «L'Italicum non si tocca». A sua volta il capogruppo in Senato di Forza Italia, Paolo Romani, il 27 gennaio 2015 ha affermato sulle riforme: «Noi dell'opposizione insieme alla maggioranza stiamo cambiando l'assetto istituzionale, la governance del Paese, stiamo portando l'Italia fuori dalle paludi ottocentesche». In terzo luogo Berlusconi, nella lettera inviata agli elettori, ha affermato: «Se invece vincesse il Pd, grazie alla nuova legge elettorale si innescherebbe una deriva pericolosa? un partito potrebbe non solo governare e controllare il Senato, ma anche scegliere le massime istituzioni di garanzia, dal Capo dello Stato alla Corte costituzionale».Ora l'Italicum sarà sottoposto al giudizio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale e c'è adesso l'accordo anche del Pd per cambiarlo in due punti qualificanti: l'attribuzione del premio di maggioranza anche alla coalizione e non solo alla lista; il superamento del ballottaggio. Inoltre, per l'elezione dei senatori si adotterebbe la proposta Chiti basata su due schede, una per eleggere il consigliere regionale, l'altra per scegliere quale consigliere dovrà far parte del Senato. E il Consiglio regionale dovrà poi eleggere i senatori "in conformità" con le scelte degli elettori, come impone il nuovo articolo 57 della Costituzione. Premesso tutto questo, non è affatto vero che la maggioranza di governo potrebbe eleggere da sola il Capo dello Stato. Questo può accadere con la Costituzione vigente perché il quorum, dal quarto scrutinio, è pari alla maggioranza assoluta (vedi, ad esempio, l'elezione di Napolitano del 2006). Invece, con la riforma il quorum viene elevato ai 3/5 (pari a 438 voti), un quorum che non è nella disponibilità della maggioranza di governo, anche se dovesse disporre di 340 seggi alla Camera e della metà dei seggi al Senato, avendo vinto tutte le elezioni regionali senza eccezione. Per far scattare l'ipotesi di Berlusconi, dal 7° scrutinio l'opposizione non dovrebbe più partecipare alle votazioni per il Presidente della Repubblica. Berlusconi cerca anche di far credere che dopo la vittoria del No sarebbe possibile realizzare una nuova e diversa riforma della Costituzione, ma è di tutta evidenza che dopo il fallimento di ben due referendum costituzionali a distanza di dieci anni, una riforma della Costituzione sarebbe di fatto preclusa per diversi lustri a venire.In effetti Berlusconi ricorre a inesattezze così evidenti perché deve spiegare che vota No a una riforma che corrisponde ai programmi e alle proposte che hanno caratterizzato Forza Italia sin dalla sua nascita, e che non a caso ha anche condiviso e votato nelle prime letture e dalle quali si è dissociata per ragioni politiche (l'elezione di Mattarella) che nulla hanno a che fare con il merito della riforma stessa. Berlusconi cerca così di evitare che una larga parte dell'elettorato di Forza Italia voti Sì.Infine, l'aspetto più grave delle tesi di Berlusconi, è l'illusione - da vero e proprio apprendista stregone - che con la bocciatura del referendum e la proporzionale sarebbe possibile un governo di "larghe intese". Berlusconi non si rende conto che la vittoria del No rafforzerebbe soprattutto le forze antisistema (M5S, Lega, FdI). Berlusconi invece dovrebbe sapere che una volta utilizzati i suoi voti per il No, dopo il 4 dicembre la Lega di Salvini e FdI della Meloni gli presenteranno il conto: o darà il via alle primarie e romperà con la Merkel e con il Ppe, oppure essi daranno vita al polo "sovranista". Berlusconi ha continuato anche in questa occasione ad attaccare l'Ncd, Alfano e la cinquantina di parlamentari che lo hanno seguito, come dei "traditori", dei "voltagabbana". Adesso sostiene addirittura un'altra modifica della Costituzione e cioè l'eliminazione della libertà del mandato. Berlusconi non era di questa opinione quando lavorò per recuperare alla Camera e al Senato una serie di parlamentari eletti nelle liste dell'Idv e di altri partiti. Ma l'assenza del vincolo di mandato, insieme all'immunità parlamentare, è uno dei capisaldi del costituzionalismo liberale che solo gli autoritari e i giustizialisti possono voler smantellare (e infatti l'immunità parlamentare autentica è stata smontata nel 1993 sotto l'impulso di Mani Pulite e il "vincolo di mandato" sarebbe l'esaltazione giacobina del partitismo).Se oggi siamo arrivati al 2016 e se stiamo discutendo di riforme, ciò lo si deve proprio ad Alfano e ai parlamentari dell'Ncd che, salvando la legislatura, hanno evitato quelle elezioni anticipate che avrebbero consegnato il paese ai grillini visto il fallimento sia del Pd che del Pdl. Prima di dar retta agli estremisti del suo partito, Berlusconi aveva capito benissimo il significato del voto del 2013 che segnava la fine del bipolarismo, per cui solo un governo di large intese avrebbe assicurato la governabilità e salvato la legislatura. Non a caso al momento della formazione del governo Letta Berlusconi dichiarò durante un'intervista al TG5: «Abbiamo fatto tanto per dare all'Italia un governo e avviare le riforme per la ripresa e questo non può essere messo in discussione, in pericolo, per una sentenza infondata e iniqua, dobbiamo sforzarci per tenere distinte le mie vicende personali dal governo e dalle riforme».Alfano e i parlamentari dell'Ncd hanno continuato a ritenere decisiva questa affermazione di Berlusconi. Per aver espresso un dissenso di questo tipo un parlamentare in uno stato democratico dell'Occidente dovrebbe dimettersi? Ma Berlusconi, se vuole mantenere il suo sogno di una grande rivoluzione liberale, lasci questa proposta liberticida a Erdogan e a Putin.Se malauguratamente dovesse prevalere il No, rimarrebbe l'anomalia di due Camere che esprimono entrambe la fiducia al governo e sono elette da due elettorati diversi (4,3 milioni di elettori dai 18 ai 25 anni votano solo alla Camera con un orientamento politico diverso dalle precedenti generazioni) e che pertanto producono risultati diversi nei due rami del Parlamento; di conseguenza si precluderebbe la possibilità di adottare sistemi con un premio di governabilità (perché si rischierebbe di doverlo attribuire a due soggetti diversi nelle due camere) e si condannerebbe il Paese all'instabilità e all'ingovernabilità più assoluta, in sostanza al declino. Questa è la posta in gioco il 4 dicembre.