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«Ho lottato per l’aborto, decida anche l’uomo» è il titolo di un commento di Annamaria Bernardini de Pace del 3 luglio sulla Stampa. Il solito titolo esagerato? No, è peggio, è il riassunto di alcuni errori comuni. Parto dalla fine, dalla distrazione di riportare il 67% degli obiettori, verosimilmente il numero della penultima relazione ministeriale perché l’ultima dà un numero diverso (64,6 come media nazionale dei ginecologi). Poi per carità, non cambia molto nel difettoso ragionamento che precede, la disattenzione per i dati è preoccupante. Risalendo poi nella lettura verso il titolo ecco il condizionamento irriflesso dell’aborto come «sempre una decisione gravissima che sconvolge chiunque»: mi colpisce sempre il nominarsi portavoce di tutte, ignorando l’azzardo di ogni legge universale. No, non per tutte è una decisione gravissima e sconvolgente. No, non significa che «allora è un divertimento», perché questa è una falsa dicotomia. E lo sconvolgimento necessario e universale è una sciocchezza. E poi la domanda che ispira il titolo e che viene declinata in vari modi (decide anche l’uomo?) ma che è sempre abbastanza insensata se non condizionata alla volontà della donna, come peraltro stabilito dalla legge 194 (in una delle sue parti non paternalistiche). Sono poche parole e bastano a rispondere ai dubbi di Bernardini de Pace: «Ove la donna lo consenta» (articolo 5). E non può che essere così e non dovrebbe esserci bisogno di spiegare perché (chissà poi dove e come lo troviamo «il padre» se la donna non lo vuole coinvolgere). L’unica a poter decidere è la singola donna sulla propria gravidanza. E ricordiamo che le uniche alternative sarebbero mettere ai voti (gravidanza o aborto?, votate!) e imporre di portare avanti la gravidanza (oltre alla ripugnanza morale di questa possibilità, mi chiedo sempre come sarebbe possibile mettere in pratica questo obbligo). Sebbene non mi piaccia l'abitudine (molto diffusa) di parlare di aborto volontario usando i casi estremi, vorrei chiedere a Bernardini de Pace se ha pensato di far decidere l’uomo anche in caso di violenza, di stupro o di abuso. E come fare in caso di conflitto: io voglio abortire, il padre dell’embrione (fa già ridere così) non vuole. Solo alla fine penso che una soluzione esiste e che ci avevano già pensato. Basta quindi recuperare il curatore del ventre e conferirgli anche tutti i poteri di un tutore e di un amministratore di sostegno, perché le donne non possono essere mica lasciate sole a decidere. Ovviamente è per il nostro bene. E arriviamo alla premessa e al commento sulla decisione della Corte suprema riguardo a Roe vs Wade – che è una questione più generale e forse perfino più importante. Scrive Bernardini de Pace: «Si sono subito scatenati gli arrabbiati femministi di tutto il mondo, scandalizzandosi perché con questa decisione viene compresso il “diritto all’aborto”. Peraltro, raccontando che viene vietato l’aborto e che si torna indietro di 50 anni. Dimenticando che ciascuno dei 50 stati americani avrà una legge rispettosa del pensiero dei propri cittadini, pro o contro l’aborto. Ma un diritto all’aborto non c’è, non esiste. Non è possibile, infatti, parlare di un diritto laddove non vi sia un corrispondente dovere». A parte il disprezzo che sembra trapelare da «arrabbiati femministi», e a parte che questa è una questione che confinare nei femminismi (mi chiedo se “femministi” sia un refuso) è ingiusto e tipico del fronte più conservatore, vorrei sottolineare due cose. La prima è che il diritto all’aborto rientra nel diritto all’autodeterminazione personale, che riguarda l’ambito sanitario e non solo (questo vale per la 194 e per Roe vs Wade). Per usare una espressione molto cara a Benjamin Constant, questo è lo spazio della cosiddetta libertà negativa, quello spazio in cui lo Stato non deve venirci a dire cosa fare (vale anche per l’articolo 29 della nostra Costituzione invocato a sproposito per dire no ai matrimoni ugualitari). Questo significa che lo Stato – ma pure tutti gli altri – hanno il dovere di rispettare questa libertà negativa. Ah, non si dovrebbe votare, perché nemmeno un plebiscito dovrebbe avere il potere di privarmi di alcuni diritti fondamentali. È vero che la Corte italiana ha ancorato l’interruzione volontaria della gravidanza alla salute, ma non è vero che non ci sia un dovere conseguente, che è quello di garantire l’accesso a un servizio medico sicuro (quando sono presenti determinati presupposti stabiliti dalla legge). La seconda è che una volta stabilita una premessa poi non possiamo tenere solo quello che ci fa comodo e che volevamo dimostrare. Quindi se si usa l’assenza di un esplicito diritto all’aborto nella Costituzione per dire che è una specie di miraggio, allora lo stesso discorso vale per la obiezione di coscienza (aggiungiamo il diritto di voto per le donne, se vogliamo sembrare persone di mondo). Per fortuna le norme evolvono e non tutti interpretano in modo così letterale (e sbagliato) la Costituzione.