Ahia. Pensavano noi italiani di esserne gli unici afflitti, ma non è così. Il morbo inarrestabile della riforma elettorale si sta facendo strada nel cuore stesso dell’Occidente. Nel tempio della democrazia presidenzialista e bipartitica, gli Stati Uniti d’America, la pandemia della modifica del meccanismo di voto, insomma della declinazione della rappresentanza popolare, sta facendo strage. Soprattutto tra i Democratici, è vero. Ma il partito dell’Elefante non è immune. Prova ad alzare difese immunitarie: ma non bastano.

Il dato da cui partire è quelle registrato nelle ultime due elezioni presidenziali su cinque, quando sia George Bush nel 2000 su Al Gore e soprattutto Donald Trump su Hillary Clinton nel 2016 sono arrivati alla Casa Bianca ottenendo meno voti dei loro competitor. Nel 2000, infatti, Bush prevalse pur ottenendo circa mezzo milioni di voti in meno del candidato Democratico.

L’ultima volta è stata clamorosa: The Donald ha vinto con ben tre milioni di voti in meno della consorte di Bill.

Si può vincere la partita politica e sedersi sulla poltrona più importante del mondo perdendo la presidential race? Che razza di democrazia è quella nella quale la maggioranza della volontà popolare invece di vincere si ritrova sconfitta?

Occorre ricordare che il voto per Grandi Elettori per cui chi vince in uno Stato prende tutti i delegati del medesimo è consustanziale alla democrazia a stelle e strisce. Benchè tanti la definiscano “la più antidemocratica delle istituzioni”, il collegio elettorale americano è tabù.

Solo che adesso i Democratici lo bersagliano. Una delle candidate più accreditate, Elisabeth Warren, è partita all’attacco, subito seguita dall’ultimo fenomeno politico nella corsa elettorale del 2020: Pete Buttigieg. Trentasette anni, sindaco di una cittadina di circa centomila abitanti nell’Indiana, gay dichiarato, conosce e parla sei lingue, si è laureato ad Harvard ed ha combattuto in Afghanistan. «Il collegio elettorale deve sparire, ci serve il voto popolare», ha tagliato corto Buttigieg. Naturalmente i Repubblicani sono sul chi vive, anche se pure nelle loro file i perplessi non mancano. Trump ha smanettato su Twitter che la riforma elettorale così concepita sarebbe un grave errore.

Il collegio elettorale presidenziale, infatti, costringe i candidati a visitare e fare campagna elettorale in molti Stati. Se viene abolito, «andare i nquelli più grandi e con le città più popolose». Per Paul Waldman del Washington Post è falso: l’impotante, casomai, è conquistare gli Stati tradizionalmente in bilico: Ohio e altri swing States. A conferma ci sono alcuni dati. Nel 2016 sia Trump che Clinton hanno tenuto il 94 per cento dei loro eventi elettorali in soli 12 dei 50 Stati dell’Unione.