Più cauto del solito nei giudizi, ma sempre tagliente. Il filosofo Massimo Cacciari, sempre attento agli stravolgimenti politici e in tempi non sospetti critico nei confronti della posizione del Partito Democratico che ha scelto di non trattare coi 5 Stelle, analizza a caldo la prima uscita pubblica ufficiale del neo governo gialloverde, fresco di fiducia in entrambi i rami del Parlamento e ora pronto a scaldare i motori.

Professore, nel suo discorso al Senato il premier Conte ha detto che «se populismo è ascoltare la gente, allora siamo populisti». Sarà un governo populista, quindi?

Ma queste sono battute. Siccome la parola populismo è stata usata e anche abusata contro grillini e leghisti per demonizzarli, allora Conte ha deciso di usare lo stesso termine per definire il suo governo. Sono poco più di giochi di parole del momento, che nulla contano. E’ tutto il resto che bisogna guardare.

Il contenuto del programma, intende?

Ora conta capire che cosa combineranno e soprattutto se Lega e 5 Stelle sapranno stare insieme, perchè è chiaro che questo è il governo di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Anzi, più di Salvini che di Di Maio.

Sulla carta sarebbe il governo Conte.

In politica contano i fatti e questi hanno fino ad ora dimostrato che Conte è una persona senza alcuna autonomia politica. Speriamo abbia almeno autonomia intellettuale, ma di certo non è il leader di nulla. Staremo a vede- re se in futuro deciderà di assumere un ruolo, l’ambizione ce l’ha.

Perché ha scelto la scomoda seggiola tra due leader ingombranti?

Senta, questo Giuseppe Conte tre o quattro anni fa è stato presentato a Matteo Renzi come possibile carta utile per il Pd e a presentarlo fu la sua amica personale, che di nome faceva Maria Elena Boschi. Questo per dire che si tratta di una persona che certamente ha una grande ambizione personale e che già anni fa si è presentato sul mercato della politica in cerca del miglior offerente. Non c’è nulla di male, ma è un dato.

Che impressione le ha fatto il suo discorso alle Camere?

Nessuna, ha detto cose che per il 90 per cento poteva dire e fare Paolo Gentiloni. Idee liquide dette da una persona liquida, in una società liquida. Le piace il termine? Lo avete inventato voi giornalisti.

Lo dice con un certo disprezzo.

La stampa, i media e i talk show sono la causa di questa catastrofe di presente. Ma c’era da aspettarselo: hanno predicato per anni che c’era la casta, che la politica era il male, che i partiti tradizionali non servono più. Ecco, questo è il risultato e non c’è nulla di cui stupirsi.

E non si torna indietro?

Come si fa. L’unica sintesi possibile è che chi semina vento raccoglie tempesta. L’unico auspicio possibile è che questa tempesta sia in qualche modo navigabile.

In questo Parlamento rovesciato ha preso la parola anche il senatore Matteo Renzi. Lei lo ha molto criticato in passato ma oggi sembra tornato, è sempre lui l’unico leader del Pd?

Il suo intervento non l’ho sentito, ma sicuramente non è più lui il centro del Partito Democratico, ci sono stati tanti e troppi rovesciamenti all’interno del partito per pensare che sia ancora lui a poter guidare e dettare la linea.

Dopo anni di governo, il Pd saprà stare all’opposizione?

La variabile vera non è questa, ma torna ad essere quel che dicevo all’inizio: dipende da cosa combina il governo.

In che senso?

In base a come si comporterà il governo valuteremo sia l’operato dell’alleanza gialloverde che quello del Pd. Sul fronte della minoranza le ipotesi sono due: se questo esecutivo rimarrà saldo e terrà davanti ai vari scossoni che lo aspettano, l’opposizione sarà incerta; se invece Conte e i suoi ministri mostreranno tutte le loro macroscopiche contraddizioni, allora i democratici potranno fare leva su questo e giocare la partita in questa chiave.