«Le intercettazioni non interessano ai cittadini e la stretta dell’ultima legge serve a proteggere i politici». La giustizia sarà uno dei temi caldi della prossima campagna elettorale e Alfonso Bonafede, parlamentare 5 Stelle e vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera, chiarisce la linea del Movimento.

Onorevole, cominciamo con la prescrizione. Proponete di sospenderla nel momento in cui inizia il processo, perché?

La prescrizione va bene nella fase delle indagini ma, nel momento in cui scatta il rinvio a giudizio - cioè quando un giudice ritiene che esista la necessità di iniziare la fase processuale la prescrizione deve fermarsi. Questo perché, altrimenti, si va incontro a un effetto collaterale grave e una vergogna solo italiana: che gli imputati stiano in giudizio solo per perdere tempo e arrivare alla prescrizione del reato. Gli esempi sono tanti.

Eliminando la prescrizione nei termini da lei descritti, non teme che i tempi della giustizia si allunghino ulteriormente?

Io temo che i cittadini onesti che chiedono giustizia non la ottengano perché i reati si prescrivono. La prescrizione genera ingiustizia e uno sperpero economico inaccettabile: lo Stato spende un sacco di soldi per fare processi che poi si devono interrompere senza accertare la verità.

Sarà d’accordo, però, che la lunghezza dei processi è il problema del nostro sistema giudiziario?

Ma certo, e la riforma di Orlando non lo risolve di certo. Noi siamo d’accordo che i processi debbano durare poco, però la responsabilità grava sulle spalle dello Stato, che deve investire di più in risorse, organizzazione e qualità. Non si può scaricare questa lungaggine sul cittadino onesto attraverso la prescrizione: lui sta nel processo per ottenere giustizia, ma lo Stato gli risponde: «Mi dispiace, io devo estinguerlo, perché altrimenti dura troppo per l’imputato». La prescrizione è ingiustificabile per le vittime.

L’ultimo testo approvato in materia di giustizia riguarda le intercettazioni. Era necessario?

Di quel testo non ci piace nulla. Il principio ispiratore è la difesa dei politici. E’ evidente come il ministro Orlando non abbia a cuore la giustizia al servizio dei cittadini ma solo la difesa della politica dai suoi scandali. Tanto è vero che, se si analizzano i lavori parlamentari, si nota che ogni accelerazione sulle intercettazioni è avvenuta subito dopo uno scandalo che ha riguardato la politica. Senza parlare poi del fatto che si tratta di una norma tecnicamente inutile.

Che cosa intende?

Il dl intercettazioni infarcisce il diritto di aggettivi come “rilevante”: ma chi decide cosa lo è, la polizia giudiziaria? Stiamo parlando di ridurre la discrezionalità dei pm. La regolazione dello strumento doveva avvenire con direttive interne alle procure, come del resto già stavano facendo molti capi degli uffici in tutta Italia. Il Legislatore non può scrivere norme che creano solo confusione.

Voi chiedete addirittura di ampliare l’utilizzo delle intercettazioni e dei virus spia dei Trojan, allargandoli ad altri reati.

Il fatto più grave del dl è l’esclusione della possibilità di usare i Trojan se non per mafia e terrorismo. Sono uno strumento invasivo, è vero, e del resto va applicato solo per reati gravi. Noi però, sosteniamo che tra questi debbano rientrare anche quelli di corruzione. La norma che lo vieta è una sorta di istigazione a delinquere di stampo legislativo.

Esiste il pericolo, però, di ledere il diritto alla privacy? La Costituzione tutela anche quello.

Intendiamoci, non sono certo favorevole all’intercettazione facile. In un momento storico come questo, però, in cui la criminalità organizzata si evolve e migliora le proprie tecniche criminali, lo Stato deve allo stesso modo mettere in campo le tecnologie più efficaci per combatterla. E’ mai possibile che per scoprire i reati corruttivi si debba ancora mandare il poliziotto a mettere le cimici?

Le intercettazioni spesso finiscono sui giornali, però. Lei ritiene che sia corretto pubblicarle?

Un giornalista, se viene in possesso di un’intercettazione che ha una rilevanza di carattere pubblico, la deve sempre pubblicare. Anzi, temo uno Stato in cui un giornalista le tiene nel cassetto.

Anche se non hanno alcuna rilevanza penale?

Facciamo degli esempi: io credo che l’intercettazione sul Rolex al figlio del ministro Lupi o la battuta sulla sguattera del Guatemala alla ministra Guidi andassero pubblicate. E’ di interesse pubblico che una ministra venga trattata in quel modo da una persona che vuole far passare un emendamento che riguarda le compagnie petrolifere? E’ evidente che sì.

I giornalisti, però, le vanno a prendere in Procura queste intercettazioni.

E’ chiaro che le Procure debbano attrezzarsi per non farle trapelare, ma si tratta di cose che accadono in tutto il mondo. Il punto è un altro: se l’intercettazione viene pubblicata, il politico non può per tutta risposta imbavagliare l’informazione.

Il politico deve mettere in conto che possa succedere, quindi?

Quando si diventa politici si devono assumere sia gli oneri che gli onori dell’essere un personaggio pubblico. Esiste un grado di riservatezza che palesemente si perde, quando ci si espone. E’ chiaro che mi arrabbio se vengo ripreso nel fine settimana con i miei figli al parco, perché questo è un fatto di riservatezza. Non posso, però, accampare problemi di privacy nel momento in cui, come è successo con la ministra Guidi, vengo intercettato mentre sto prospettando soluzioni che favoriscono un imprenditore rispetto a un altro.

Esiste il rischio, però, che la politica finisca sotto processo sui giornali prima che in tribunale, che poi magari archivia o assolve?

E’ un rischio inevitabile. Anche il Movimento 5 Stelle ha subito titoloni e attacchi vergognosi sui giornali su fatti certamente poco rilevanti. Noi, però, non abbiamo risposto sventolando il diritto alla privacy. Abbiamo denunciato le invenzioni della stampa spiegando i fatti.

Non va limitata la pubblicazione di nulla, quindi?

Noi lottiamo contro la stampa che inventa notizie per danneggiare una forza politica, mai contro la stampa che fa il suo lavoro. Infatti non abbiamo mai chiesto una stretta sulle intercettazioni: queste iniziative solo un becero servizio alla politica, che non interessano per nulla ai cittadini.

Eppure questo clima dimostra che il rapporto tra giustizia e politica è quanto mai teso, nonostante siano molti i magistrati che sono passati dai tribunali all’Aula del Parlamento.

Il passaggio è legittimo, basta che poi non vogliano tornare a fare i giudici. Se un magistrato legittimamente decide di mettere il suo bagaglio di competenze ed esperienze al servizio della comunità in politica va bene, ma quando passa al potere politico, legislativo o esecutivo, smette automaticamente di essere soggetto terzo.

Per i magistrati, la via della politica deve essere a senso unico?

Sì, il confine che separa politica e giustizia deve essere perfettamente delineato. Per anni il dibattito è stato deviato in modo fuorviante, come se si dovesse difendere una o l’altra categoria. Il punto, invece, è difendere il principio costituzionale della separazione dei poteri: un magistrato può fare politica, ma poi non può tornare a indossare la toga.