Fausto Bertinotti, pochi minuti prima di partecipare a un convegno in ricordo di Lidia Menapace, spiega al Dubbio che «Pechino ha bisogno della pace per poter continuare a crescere e a giocarsi la competizione strategica con gli Stati Uniti», che «le sanzioni sono necessarie ma non decisive» e che «l’errore più grande fatto dall’Occidente è stato quello di non aver pensato la Russia come parte dell’Europa», perché «aveva ragione Charles de Gaulle quando diceva che l’Europa va dall’Atlantico agli Urali».

In che modo la Cina può influenzare l’andamento del conflitto in Ucraina?

Credo che dall’inizio ci sia un’invocazione della capacità geopolitica della Cina e un interesse dei contendenti a che Pechino svolga un ruolo di mediazione tra le parti. Perché la Cina è vicina politicamente alla Russia ma non così tanto da farsi invischiare in questa guerra che Putin ha scatenato in Ucraina. Poi certo Pechino è una potenza mondiale quindi ha un peso strategico che coloro che finora hanno fatto dei tentativi, da Israele alla Turchia, non possono avere. Per tutti questi motivi non credo che possa essere guardata con sospetto né dai protagonisti della scena mondiale né dai resistenti ucraini alla guerra d’invasione russa.

Crede che Pechino possa intervenire militarmente al fianco di Mosca o potrebbe avere un ruolo soltanto diplomatico?

Penso a un ruolo di mediazione della Cina e credo che l’attesa nei confronti di una mossa di questo tipo sia giustificata. Credo che Pechino non interverrà al fianco della Russia belligerante ma cercherà di favorire il dialogo. La Cina è cresciuta nella pace mondiale, certo sempre mutilata da quella che papa Francesco ha chiamato giustamente «terza guerra mondiale a pezzi», ma Pechino ha bisogno della pace per poter continuare a crescere e a giocarsi la competizione strategica con gli Stati Uniti. In palio c’è il ruolo di locomotiva di un nuovo ciclo di globalizzazione capitalistica sempre più attraversata da crisi di ogni tipo, da quella economica alla pandemia, fino alla guerra.

Il nostro paese continua a inviare armi a Kiev: fino a quando saremo in grado di sostenere la resistenza ucraina?

Per me è già stato un errore aver inviato le armi ed è un errore continuare a inviarle. Ogni tipo di intervento che accentua il conflitto e ne allarga i protagonisti è un errore strategico. Invece la formula di Brolin, cioè evitare l’escalation, fermare la guerra e trattare, trattare, trattare, è l’unica forma di saggezza politica. Non voglio neanche immaginare un’ulteriore escalation. Bisogna che si affermi un partito della pace nella politica internazionale.

All’orizzonte non se ne vede nemmeno l’ombra…

Purtroppo è così, ma senza questo partito vedo difficile raggiungere la pace. Un proverbio dice che la guerra è una cosa troppo importante perché la facciano i generali, ma io aggiungo che la politica è troppo importante perché sia preda di una cultura militare. Siamo in un processo di militarizzazione delle coscienze che mi sembra molto allarmante.

Alcuni esponenti della sinistra si sono schierati se non apertamente dalla parte di Putin in quella di un ambiguo «né con la Nato né con Putin». Cosa ne pensa?

Penso che bisogna dismettere questo abito militare per cui chi non pensa come te sta dalla parte del nemico. C’è la guerra, è vero, ma non siamo in guerra e quindi dovremmo imparare a confrontarci con le tesi che vengono proposte senza attribuire ai portatori di queste tesi disegni reconditi o origini lontane che fanno pensare immaginabile questa loro nuova collocazione. Bisogna insomma sgombrare il terreno da un equivoco che vedo circolare come manifesta dimostrazione di ignoranza. Cioè quello secondo cui la Russia di Putin sarebbe figlia dell’Urss e quindi chi giustifica l’intervento di Putin sarebbe un nostalgico dell’Unione sovietica.

Cosa vuole allora il presidente russo?

Il suo disegno esprime la volontà di ricostruzione di una grande Russia, che oggi è una potenza con una struttura di mercato che fa parte dal mercato internazionale e che quindi non c’entra nulla con l’Urss della statalizzazione dei mezzi di produzione.

Eppure c’è chi dice che la colpa è dell’espansionismo della Nato e della stessa Ucraina…

Se Canfora dice una cosa è perché la pensa, non perché è un ex sostenitore dell’Urss. Dopodiché io ho un’opinione diversa da Canfora e una ancora più diversa da chi nella sinistra si è schierato come se fossimo noi stessi in guerra. Che, per chiarirci, è la posizione del Pd. Io invece ho una classica posizione pacifista. Sto per partecipare a un convegno che ricorda Lidia Menapace, una delle tante che ha pensato una politica pacifista e non violenta.

Alla pace si prova ad arrivare attraverso le sanzioni economiche: serviranno a qualcosa?

Penso che le sanzioni siano state necessarie e che non siano decisive. Penso anche che non c’è niente che possa sostituire una politica di pace fondata sulla trattativa e la mediazione. Fuori dalla contesa, la mediazione è anche facile da immaginare. Mi rendo conto che nella tragedia dei bombardamenti e della guerra sembra difficile immaginare un futuro di pace. Ma è necessario che la politica pensi a una nuova Yalta, non semplicemente a una pur necessaria risoluzione del conflitto. L’Occidente ha delle colpe in questo conflitto?L’errore più grande fatto dall’Occidente è stato quello di non aver pensato la Russia come parte dell’Europa. Aveva ragione Charles de Gaulle quando diceva che l’Europa va dall’Atlantico agli Urali. Ma noi non l’abbiamo ascoltato.