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Di corsa verso le urne, adesso c’è perfino la legge elettorale: non manca più nulla. Sicuri? Magari anche no. A dire la verità - e anche se l’argomento non suscita nei leader e nelle forze politiche particolare passione - ci sarebbero un bel po’ di macerie da sgombrare, se non altro per allontanare il pericolo che la campagna elettorale diventi un furioso e avvelenato slalom intorno al nulla. In primo luogo ci sarebbe da condurre in porto la legge di Stabilità, che è il biglietto da visita da presentare in Europa per cancellare l’idea che l’Italia era e resta un Paese inaffidabile. Dopo aver promesso per anni un abbassamento del debito che non è arrivato, il ministro Padoan ha predisposto una manovra leggera leggera, per non scontentare nessuno. A cominciare dal duo premier- ex premier Gentiloni e Renzi, ciascuno per suoi motivi propenso a non calcare troppo la mano e a snobbare Bruxelles. Solo che la manovra è diventata un provvedimento figlio di nessuno visto che non c’è maggioranza o co- munque è molto cambiata. Presumibilmente, anche in questo caso Denis Verdini metterà le sue impronte digitali: sempre più è il padre padrone della governabilità presente. E quella futura? Chi lo sa. Ma Alfano che fine ha fatto?
Poi c’è il Pd, partito- cardine del sistema: quel sistema che in tanti, a cominciare dai Cinquestelle, vorrebbero svellere per sostituirlo con un asettico e totalizzante blog. In verità meglio due: uno tutto per Grillo; l’altro per il resto del MoVimento. Solo che in questa competition i grillini si ritrovano a gareggiare col totem da abbattere: Matteo Renzi. Anche il capo del Nazareno, infatti, afferma di stare dalla parte dei cittadini contro il sistema. Per dimostrarlo, l’ex sindaco di Firenze ha preso di petto Bankitalia ed è riuscito nell’impresa di scavare un solco nei confronti di tutte, ma proprio tutte, le cariche istituzionali: dal capo dello Stato al presidente del Consiglio; dal presidente del Senato che ha lasciato il partito, a quella della Camera. Che per la verità nel Pd non ci è mai entrata ma nelle vicende piddine sì, visto che ha consentito la messa in votazione delle mozioni contro Ignazio Visco, le stesse che Renzi ha usato per cannoneggiare il Governatore ma che però la Boldrini, a suo dire, non avrebbe dovuto ammettere. Critica abbastanza straniante considerato che se l’avesse fatto il cannoneggiamento che a Matteo stava così a cuore sarebbe stato bloccato sul nascere. Altre istituzioni nel mirino? Della Banca d’Italia s’è detto; quanto alla Corte costituzionale basta vedere che fine ha fatto l’Italicum, fiore all’occhiello assieme alla sterilizzazione del Senato dell’italiana trasformazione riformista in salsa renziana.
Sono macerie contaminate, che rilasciano un fall out radiottivo in grado di riverberarsi negativamente sulla legislatura che verrà. Gentiloni ( forse), Grasso e Boldini ( sicuri) non saranno più ai loro posti. Però Mattarella, la Consulta e - adesso è sicuro - anche Visco invece sì. Che rapporto potrà avere Renzi con loro? In quale sito politico- istituzionale verranno sotterrate le scorie così generosamente - ma qualcuno potrebbe anche dire irresponsabilmente - dispiegate? Il fatto che nel Consiglio dei ministri per la conferma di Visco i ministri renziani si siano volatilizzati è un fatto che mette i brividi.
I Cinquestelle si sono imbavagliati davanti ai Palazzi della politica in segno di protesta contro il Rosatellum. Un gesto simbolicamente abrasivo ma che minaccia di assumere anche un significato sinistro, nel senso che quel panno sulla bocca può diventare metafora del fatto che oltre il ringhio e il ghigno nei riguardi del potere ufficiale, c’è ben poco altro da dire. Cinque anni fa i grillini sono entrati in Parlamento per aprirlo come una scatoletta di tonno e così mostrare le magagne di chi ha sgovernato l’Italia fino a sfasciarla. Un lustro dopo il bilancio è deludente. Nessun provvedimento significativo per il MoVimento andato in porto, splendida solitudine coltivata fino al parossismo. E laddove hanno amministrato, i Cinquestelle ammassano anche loro macerie non sapendo dove smaltirle.
Infine il centrodestra, compagine nei sondaggi e nel mainstream dei circoli più influenti, virtualmente vincente. Gli manca il cemento del programma e nel frattempo ha perso un pezzo, i Fratelli d’Italia della Meloni. I due azionisti di maggioranza sono divisi su tutto, dal rapporto con la Ue alla vicenda Bankitalia, dove Berlusconi ha preso una posizione e Salvini - ed è ormai una costante - un’altra totalmente opposta. Sulla riforma elettorale hanno invece marciato appaiati: un appeasement che dice tante cose.
La danza della campagna elettorale impazza e impazzerà; il nulla è rappresentato dalle coalizioni che il nuovo meccanismo di voto incentiva ma che due dei tre contenitori politici, per scelta o per necessità, non sono in grado di imbastire e il terzo l’ha abbellito di una vernice che basta grattare appena un po’ per capire quanto sia farlocca.
Che Italia verrà fuori dopo le elezioni? Nessuno lo sa e nessuno lo dice: anche per paura di scoprirlo. Una cosa però è certa. Quelle macerie contaminate stanno lì, bene in vista. Se non si sgombrano - e appunto nessuno sa come, preferendo ignorarle ostruiranno il cammino anche una volta chiuse le urne. La tentazione è aspettare il voto, e poi si vedrà. Ma se invece fosse una illusione?