«Confermo: avvocati e professori universitari dovrebbero poter eleggere direttamente i componenti laici del Csm: è la giusta soluzione ad almeno un problema». Antonio Esposito, giudice che nel 2013, da presidente della seconda sezione di Cassazione, condannò definitivamente Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, ha un’idea chiara, e da tempo ben argomentata con articoli e contributi scientifici, rispetto all’opportunità di attribuire a Cnf e Conferenza dei rettori la nomina dei consiglieri laici. Ne ha riparlato in un intervento sul Fatto quotidiano di ieri e lo ribadisce al Dubbio: «Sarebbe una strada ottima per superare lo scadimento nella qualità dei rappresentanti di avvocatura e accademia a cui negli ultimi venti anni si è assistito. Ha troppo spesso prevalso la vicinanza ai partiti rispetto allo spessore professionale e accademico. Un aspetto da considerare a prescindere dal rischio di commistioni improprie».

È ipotesi non esclusa dal guardasigilli: crede che contribuirebbe anche a rafforzare la consapevolezza, tra i cittadini, di quanto sia centrale la tutela dei diritti?

Sì, credo sia da considerare anche questo. Posso dire che da presidente di sezione della Suprema corte ho sempre conservato un atteggiamento aperto alla difesa, coerente con l’idea alta che ne custodisco: non sono tra i giudici contrariati da un patteggiamento impugnato, per intenderci. Se la difesa si avvale delle opzioni formalmente consentite, perché il cliente chiede all’avvocato di avvalersene, va rispettata anche quando quelle opzioni non piacciono.

E l’idea di sancire in Costituzione l’imprescindibilità e la necessaria indipendenza dell’avvocato? È un riconoscimento che il precedente vertice del Cnf, Andrea Mascherin, ha ottenuto fosse tradotto in una proposta di legge costituzionale.

Condivido anche tale proposta. Il ruolo della difesa è essenziale e lo è la tutela dei diritti. So che tra i miei colleghi alcuni non sono convinti, rispetto all’avvocato in Costituzione: ciascuno ha il proprio legittimo punto di vista. Non mi sfugge la plausibilità della riflessione proposta dal Consiglio nazionale forense, secondo cui il rilievo costituzionale della professione rafforzerebbe anche l’autonomia dell’intera giurisdizione, cioè anche della magistratura, rispetto ai rischi di ingerenze della politica.

Sull’elezione dei laici da parte di Cnf e Crui, il ministro Alfonso Bonafede ha un’obiezione: serve una legge di rango costituzionale, ma la riforma è troppo urgente e serve la via ordinaria.

Da alcuni lustri, nei miei articoli, sostengo che una riforma del Csm possa e debba essere costituzionale. Credo per esempio che, oltre al nodo dei laici, vada sciolto anche quello del primo presidente e del procuratore generale. Non solo quest’ultimo rischia di essere troppo vicino, considerate le sue prerogative anche disciplinari, ai consiglieri. Consideriamo anche che lo stesso primo presidente presiede, tra l’altro, il Comitato direttivo della Suprema corte, da cui vengono pareri su colleghi per i quali poi ci si ritrova a votare in plenum. Davvero troppe sovrapposizioni inopportune. Credo anche che il vicepresidente debba essere sorteggiato tra tutti i componenti laici, in modo che non si senta vincolato da un tacito patto con la maggioranza che lo ha eletto. La riforma costituzionale serve, serve eccome.