«Non chiediamo alcun privilegio. Chiediamo semplicemente il rispetto della Costituzione, della legge e della nostra professione. Quella che stiamo vivendo non è una crisi passeggera: è una svolta storica per la professione legale e per la democrazia in Turchia». Il professor Ibrahim Kaboğlu, uno dei più autorevoli costituzionalisti turchi, non nasconde la propria preoccupazione per la deriva autoritaria che sta interessando la Turchia. L’Ordine degli avvocati di Istanbul, di cui Kaboğlu è presidente, è stato dichiarato decaduto nel marzo scorso. «O ci pieghiamo – dice al Dubbio Kaboğlu - o costruiamo una resistenza basata sulla legge, sull’etica e sull’internazionalismo professionale. E credo che la risposta stia emergendo, attraverso i nostri giovani colleghi, la solidarietà internazionale e l’eco che la nostra lotta sta iniziando a trovare nell’opinione pubblica». 

Professor Kaboğlu, questo è il momento più triste per l’avvocatura di Istanbul e turca?

Probabilmente è uno dei più bui. Abbiamo oltrepassato una soglia molto pericolosa. Per la prima volta, un presidente eletto regolarmente e democraticamente e un Consiglio dell’Ordine degli avvocati sono stati licenziati con una decisione dell’autorità giudiziaria, su richiesta del pubblico ministero, semplicemente per aver pubblicato un comunicato stampa che chiedeva l’apertura di un’indagine sulla morte di due giornalisti, cittadini turchi, uccisi in Siria. Quando la libertà di espressione diventa motivo di persecuzione e l’autonomia degli Ordini viene calpestata, lo Stato di diritto è in pericolo.

Nello specifico, quali sono le accuse contro l’Ordine degli avvocati di Istanbul?

Sono state avviate due procedure. Un’azione civile, volta alla rimozione degli organi elettivi, sulla base dell’articolo 77.5 della legge sull’esercizio della professione forense di cui contestiamo la costituzionalità. L’altra accusa penale è di «propaganda a favore di un’organizzazione terroristica» e «diffusione di informazioni fuorvianti». Accuse infondate, contrarie alla nostra missione di difesa dei diritti.

Come vi state difendendo?

Prima di tutto, ricordando che abbiamo agito in conformità al nostro mandato etico, nel rispetto della Costituzione turca, delle leggi nazionali e delle convenzioni internazionali. Il comunicato stampa incriminato non è illegale: chiede un’indagine, senza incitare alla violenza o alla propaganda. La procedura è inoltre viziata da irregolarità, come mancanza di autorizzazione ministeriale, violazione dei diritti della difesa, prove basate su una semplice denuncia di polizia. L’udienza si è tenuta a Silivri, a 100 chilometri da Istanbul, lontano dal pubblico, in un carcere di massima sicurezza, simbolo dell’attacco alla trasparenza giudiziaria. Ricordiamo che l’Ordine degli avvocati è un ente indipendente, garante dei diritti fondamentali. Rifiutiamo la criminalizzazione del nostro ruolo e delle nostre parole. È l’indipendenza stessa della professione ad essere in pericolo.

Qual è la situazione in Turchia in merito allo Stato di diritto?

Preoccupante. L’indipendenza della magistratura è indebolita, gli Ordini professionali sono sotto pressione e le leggi vengono interpretate in modo opportunistico o addirittura applicate per fini politici. Il fatto che abbiamo appreso dell’apertura della procedura di revoca tramite la stampa, senza una notifica ufficiale, mentre la legge richiede apposita autorizzazione prima di qualsiasi azione penale contro un avvocato, la dice lunga sullo stato delle garanzie procedurali nel mio Paese. Ciò che stiamo vivendo non è una semplice anomalia amministrativa. Siamo di fronte ad una deriva sistemica.

Non sono mancati il sostegno e la solidarietà da parte di colleghi di molti Paesi, Italia compresa.

Una solidarietà straordinaria, direi. Più di cinquanta avvocati si sono recati a Istanbul per presenziare alle udienze, partecipare ai nostri incontri e dimostrare pubblicamente il loro sostegno. Colleghi provenienti da Italia, Francia, Germania, Grecia, Bulgaria, Paesi Bassi. C’erano tutti. Abbiamo ricevuto anche una delegazione di giovani avvocati della Repubblica Democratica del Congo, venuti per dimostrare la loro fratellanza oltre i confini e i continenti. Questa solidarietà non è stata vana. Ha permesso che il caso giungesse alla ribalta internazionale, creando una forte pressione anche mediatica. Riteniamo che abbia avuto un effetto positivo sulla liberazione del nostro collega, Firat Epözdemir. Di fronte all’isolamento e all’ingiustizia, questa mobilitazione ci ricorda che la toga, ovunque nel mondo, è la stessa e i valori che difendiamo sono comuni.

Considerato quanto sta accadendo all’avvocatura turca, teme che soprattutto i giovani legali possano perdere la speranza?

Certamente. Lo scoraggiamento incombe, soprattutto quando i giovani avvocati vedono i loro colleghi più anziani perseguitati, i loro Ordini violati e le loro libertà ridotte. Ma voglio anche dire che stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione coraggiosa e lungimirante, pronta a impegnarsi nonostante i rischi. Molte persone vogliono prendere posizione, documentarsi e difendersi. Sta a noi trasmettere loro non solo la conoscenza del diritto, ma anche il coraggio, l’etica e la memoria delle battaglie passate.

Poche settimane fa è stata firmata la Convenzione per la protezione internazionale degli avvocati. Un traguardo storico?

Si tratta di un importante passo avanti. Per la prima volta, uno strumento giuridico internazionale getta le basi per una tutela specifica della professione legale. Fornisce garanzie contro interferenze e intimidazioni. È una risposta alla realtà che ci circonda. Noi abbiamo voluto rivolgere subito una concreta attenzione. Il 27 maggio, alla vigilia dell’udienza penale che ci ha interessato, abbiamo organizzato a Istanbul la prima conferenza internazionale dedicata a questa Convenzione. Relatori di altissimo livello, provenienti da diversi Paesi, ne hanno discusso la portata e l’attuazione. Questa conferenza è stata un atto di resistenza, conoscenza e speranza. Ha dimostrato che, di fronte alla regressione, possiamo produrre diritto, organizzare la solidarietà e costruire contropoteri.