Magari voi non ci crederete e penserete che la mia furia garantista mi porta a vedere le lanterne dove invece ci sono solo delle piccole lucciole. E invece quella che sto per raccontarvi è la pura verità: sull’«Espresso» on line c’è un articolo, firmato dal giornalista Lirio Abate, nel quale si sostiene che la scienziata Ilaria Capua - totalmente prosciolta l’altro giorno dall’accusa di traffico di virus che le ha rovinato vita e carriera - in realtà è colpevole - esattamente come gli untori dei quali parla “La colonna Infame” di Manzoni - perché così dicono le intercettazioni. Dopodiché, se provate a leggere l’articolo di Abate, non è che si capisca niente, come spesso succede a chi si trova di fronte a questi articoli pieni di misteriose intercettazioni e vuoti di grammatica e sintassi. Si capisce solo che il giornalista, invece di chiedere scusa a una poveretta che è stata travolta dalle calunnie, ha speso molti soldi, ha dovuto rinunciare al seggio in Parlamento e a varie occasioni professionali. E poi è fuggita all’estero perché non sopportava più l’aria fetida del forcaiolismo italiano... invece di chiedere scusa e ammettere che quella copertina dell’Espresso di un paio d’anni fa («Trafficanti di virus», a caratteri cubitali) era una boiata, cosa fa? Insiste, denigra, infanga, con quel metodo da 007 deviati che proprio non fa nessun onore al giornalismo italiano.Non è la prima volta che da queste colonne poniamo il problema. Possibile che la casta dei giornalisti, che è forse la casta più arrogante (ma anche parecchio ignorante) che c’è in Italia, non possa mai essere messa in discussione? Possibile che di fronte a un infortunio professionale così grave, come quello di avere attribuito reati che non si era nemmeno sognata di commettere a una delle maggiori scienziate italiane, nessuno senta il dovere, almeno, di ammettere l’errore e di provare in qualche modo a riparare?Noi giornaslisti ci sentiamo al di sopra di ogni sospetto, insindacabili, invincibili e mandati da Dio per sferzare i cattivi. E riteniamo di avere, più ancora dei magistrati, il diritto di sparare valanghe di escrementi contro chi ci capita a tiro. Che giornalismo è, e che credibilità può avere, se non è capace di rispondere dei suoi errori, e se considera la forma massima di letteratura la copiatura (senza neanche messa in bella) delle intercettazioni ottenute da qualche inquirente che ha voglia di ingraziarsi (o di rovinare qualcuno)?Purtroppo è così. I quotidiani italiani (sui quali una volta scrivevano Scalfari e Jannuzzi, Stille e Cavallari, Levi e Sciascia e Calvino, e Montanelli e Barzini) ora sono pieni di articoli lunghissimi realizzati esclusivamente con la copiatura della carte sgrammaticatissime e con la firma in fondo. Talvolta la firma è anche prestigiosa.Vogliamo rassegnarci a questo?