Il Tar del Lazio ha accolto questa settimana la richiesta di sospensiva della delibera, votata da tutti i consiglieri tranne che dai tre togati di Unicost, con cui Palazzo dei Marescialli aveva deciso lo scorso ottobre di non confermare Roberto Rossi nell’incarico di procuratore di Arezzo.

La pronuncia sul merito è stata fissata per giugno. Intanto, però, Rossi può tornare al vertice della Procura toscana, per la quale il Csm aveva già bandito il concorso per la nomina del nuovo capo.

Secondo il Csm - relatore Piercamillo Davigo - Rossi aveva compromesso «il requisito dell'indipendenza da impropri condizionamenti”, almeno «sotto il profilo dell'immagine», avendo mantenuto un incarico di consulenza presso Palazzo Chigi, sotto i governi Letta e Renzi, anche dopo aver aperto l'indagine su Banca Etruria del cui consiglio di amministrazione faceva parte il padre dell'allora ministro Maria Elena Boschi.

Rossi in una memoria, non tenuta in considerazione, aveva chiarito i vari addebiti, definendo «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti» ciò che gli veniva contestato, ricordando inoltre di aver terminato l’incarico a Palazzo Chigi il 31 dicembre 2015, prima dunque del fallimento della banca che è datato 11 febbraio 2016. Non ci fu, quindi, alcuna contemporaneità. Alla contestazione di essersi “auto assegnato” il fascicolo, Rossi aveva spiegato che il primo fascicolo, quello sull'ostacolo alla vigilanza e che non riguardava Boschi padre, gli pervenne in base ad un meccanismo di routine, come magistrato dell'area economica. E il non aver chiesto inizialmente l'insolvenza di Banca Etruria, infine, fu perché la Banca d’Italia stava ancora tentando il salvataggio dell’istituto di credito dal fallimento con l'amministrazione straordinaria.

Rossi, tornato sostituto in sovraorganico, in queste settimane aveva ricevuto la solidarietà dei colleghi dell’ufficio e dell’avvocatura aretina. Il personale amministrativo della Procura di Arezzo aveva voluto ricordare gli esiti di una recente ispezione ministeriale, secondo la quale l’ufficio «ha funzionato con costante armonia nonostante le carenze di organico, fornendo un puntuale servizio alla cittadinanza».

Piero Melani Graverini, già presidente dell'ordine degli avvocati di Arezzo e ora consigliere del Cnf, aveva affermato come «sia difficile trovare uno con le sue qualità: con lui la porta è sempre aperta, il confronto costante. Cosa può sperare di meglio un avvocato?».