Ho conosciuto un giudice austero. Si chiamava Thomas de Maulan ed apparteneva alla piccola nobiltà provinciale. Era entrato volontariamente nella magistratura sotto il settennato del maresciallo Mac- Mahon nella speranza di rendere un giorno la giustizia in nome del Re. Aveva dei principi che poteva credere irremovibili, non avendoli mai mossi.

Quando si muove un principio, si trova sempre qualche cosa sotto, e ci si accorge che non era un principio. Thomas de Maulan teneva accuratamente al riparo della sua curiosità i propri principi religiosi e sociali.

Egli era giudice al Tribunale di prima istanza nella cittadina di X..., dove abitava allora. Le apparenze del suo aspetto ispiravano stima ed anche una certa simpatia. Era un lungo corpo secco, con la pelle attaccata agli ossi, e la faccia gialla. La sua perfetta semplicità gli conferiva una sufficiente signorilità. Si faceva chiamare «signor Thomas», semplicemente, e non perché disprezzasse la sua nobiltà, ma perché si giudicava troppo povero per sostenerla. Io l’ho assai praticato per riconoscere che le sue apparenze non ingannavano e che con un intelligenza scarsa e un temperamento debole, aveva un’anima altera. Gli scoprii delle grandi qualità morali: ma avendo avuto occasione di osservare come compiva le sue funzioni di magistrato e di giudice, mi accorsi che la sua probità stessa e l’idea che si faceva del suo dovere lo rendevano inumano, e talvolta gli toglievano ogni chiaroveggenza. Poiché era d’una pietà estrema, l’idea di peccato e di espiazione dominava nel suo spirito, senza ch’egli ne avesse coscienza, l’idea di delitto e di pena, ed era evidente che puniva i colpevoli con la gradevole idea di purificarli. Egli considerava la giustizia umana come una pallida immagine, ma tuttavia ancor bella, della giustizia divina. Gli avevano insegnato nella sua infanzia che la sofferenza è buona, che ha per sè stessa un merito, delle virtù, che è espiatrice : ed egli lo credeva fermamente, stimando che la sofferenza è dovuta a chiunque ha mancato. Amava castigare. Era effetto della sua bontà ! Abituato a ringraziar Dio che gli mandava dei mali di denti e delle coliche epatiche in punizione del peccato di Adamo e per la sua salvezza eterna, egli accordava ai ladri e ai vagabondi la prigione e l’ammenda come un beneficio e come un soccorso. Traeva dal suo catechismo la filosofia delle leggi ed era implacabile per dirittura e semplicità di spirito. Non si può dire ch’egli fosse crudele, ma, non essendo sensuale, non era neppure sensibile. Egli non si faceva della sofferenza umana un’idea concreta e fisica : se ne faceva un’idea puramente morale e dommatica. Aveva per il sistema cellulare una predilezione un po’ mistica, e non senza una specie di gioia del cuore e degli occhi mi mostrò un giorno una bella prigione ch’era stata costruita nella sua giurisdizione : una cosa bianca, pulita, muta, terribile ; delle celle in circolo, e il guardiano al centro in un faro. Aveva l’aria di un laboratorio fondato da un branco di pazzi per fabbricare dei pazzi. E sono veramente dei pazzi sinistri questi inventori di sistemi cellulari che per moralizzare un malfattore lo sottomettono a un regime che lo rende stupido o furioso. Ma diverso era il giudizio del signor Thomas. Egli guardava in silenzio e con soddisfazione quelle atroci celle. Aveva la sua idea dietro la testa : pensava che il prigioniero non è mai solo poiché Dio è con lui. E il suo sguardo tranquillo e soddisfatto diceva: «Ne ho messi là cinque o sei, soli in faccia al loro Creatore e Giudice Sovrano. Non esiste al mondo sorte più invidiabile della loro».

Questo magistrato fu incaricato di istruire parecchie cause, e tra le altre quella di un istitutore. L’insegnamento laico e l’insegnamento congregazionista erano allora in guerra dichiarata. Avendo i repubblicani denunciato l’ignoranza e la brutalità dei Frati, il giornale clericale della regione accusò un istitutore laico di aver fatto sedere un fanciullo su una stufa accesa. Tale accusa trovò credito nell’aristocrazia rurale. Si divulgò il fatto con dei particolari rivoltanti e le vociferazioni pubbliche svegliarono l’attenzione della giustizia. Il signor Thomas, che era un onest’uomo, non avrebbe mai obbedito alle sue passioni, se avesse saputo che erano delle semplici passioni. Ma egli le prendeva per dei doveri, perché esse erano religiose. E credette suo dovere accogliere le querele sporte contro la scuola senza Dio e non s ’ accorse della estrema sollecitudine con cui le accolse. Devo dire ch’egli istruì la causa con cura minuziosa e infinite pene : la istruì secondo i soliti metodi della giustizia e ne ottenne dei meravigliosi risultati. Trenta fanciulli della scuola, interrogati in modo assai strano, risposero dapprima male, meglio poi, benissimo alla fine. Dopo un mese d’interrogatori, essi rispondevano così bene che facevano tutti la stessa risposta. Le trenta deposizioni concordavano perfettamente, erano identiche, letteralmente uguali, e quei fanciulli che, il primo giorno, dicevano di non aver veduto niente, dichiaravano ora in termini chiari, e adoperando tutti esattamente le stesse parole, che il loro piccolo compagno era stato fatto sedere, a culo nudo, sopra una stufa accesa. Il signor Thomas si rallegrava con se stesso di un sì bel successo, quando l’insegnante stabilì con delle prove irrefutabili che non c’era mai stata alcuna stufa nella scuola. Il signor Thomas ebbe allora qualche sospetto che i fanciulli mentissero ; ma non si accorse che lui stesso aveva, senza volerlo, dettato ai fanciulli e fatto imparare a memoria la loro testimonianza. Il processo terminò con un’ordinanza di non luogo a procedere. L ’ istitutore fu liberato dopo una severa ammonizione del giudice, il quale gli consigliò vivacemente di frenare nell’avvenire i suoi istinti brutali. I fanciulli dei Frati vennero a far baccano davanti alla sua scuola disertata. Quando usciva dalla sua casa, gli gridavano dietro: «Oh! oh ! Cuociculi!», e gli lanciavano delle pietre. Il signor ispettore primario, informata di questo stato di cose, fece un rapporto constatante che questo istitutore non aveva autorità tra i suoi allievi, concludendo per il suo trasferimento immediato. Ed egli fu inviato in un villaggio dove si parla un dialetto che non comprende.

Anche qui è chiamato Cuociculi: ed è questo il solo termine francese che sappiano gli abitanti e i suoi scolari. Frequentando il signor Thomas, io appresi come avviene che le testimonianze raccolte da un giudice siano tutte dello stesso stile. Egli mi ricevette un giorno nel suo gabinetto mentre, assistito dal suo cancelliere, interrogava un testimonio. Io pensai di ritirarmi, ma egli mi pregò di restare, non essendo la mia presenza affatto nociva alla buona amministrazione della giustizia. Mi sedetti in un angolo della stanza e udii le domande e le risposte: - Duval, voi avete veduto l’accusato alle sei di sera? - Cioè, signor giudice, mia moglie era alla finestra; e allora essa mi ha detto: «Ecco Socquardot che passa!» - Dunque, la sua presenza sotto le vostre finestre le sembrava di natura tale da essere notata, poiché ha preso cura di segnalarvela espressamente. E i passi dell’accusato vi parvero sospetti? - Vi dirò, signor giudice... mia moglie mi ha detto: «Ecco Socquardot che passa!». Allora io ho guardato e ho detto: «Infatti, è lui, Socquardot!» - Sta bene. Cancelliere, scrivete: «Alle sei del pomeriggio, i coniugi Duval scorsero l’accusato che gironzolava attorno alla casa con dei passi sospetti». Il signor Thomas rivolse ancora qualche domanda al testimonio, il quale era un operaio che lavorava a giornata; raccolse le risposte e ne dettò al cancelliere la traduzione in gergo giudiziario. Poi il testimonio udì la lettura della sua deposizione, firmò, salutò e si ritirò. - Perché chiesi io allora - non raccogliete le deposizioni come vi sono enunciate, invece di tradurle in una lingua che non è quella del testimonio? II signor Thomas mi guardò con sorpresa e mi rispose con tranquillità: - So quel che volete dire: ma io raccolgo le deposizioni nel modo più fedele possibile. Tutti i magistrati fanno altrettanto. Eppure non si cita, negli annali della magistratura, un solo esempio di una deposizione alterata o mutilata da un giudice.

Se, conformemente all’uso dei miei colleghi, io modifico i termini stessi adoperati dai testimoni, lo faccio perchè i testimoni, come questo Duval che voi avete testé udito, si esprimono male e perché sarebbe contrario alla dignità della giustizia raccogliere termini scorretti, bassi, e spesso volgari, quando non lo impone alcuna necessità. Ma io credo che voi non vi rendiate un esatto conto, caro signore, delle condizioni nelle quali si fa una istruzione giudiziaria. Non bisogna perdere di vista l’obietto medesimo che si propone il magistrato raccogliendo e raggruppando le testimonianze: egli deve non soltanto illuminare se stesso, ma illuminare il tribunale. Non basta che la luce si faccia nel suo spirito: bisogna ch’egli la faccia nello spirito dei giudici. Quel che importa dunque è ch’egli metta in evidenza le prove che talvolta sono dissimulate nella narrazione equivoca o prolissa del testimonio come nelle risposte ambigue dell’accusato. Se queste prove fossero registrate senza ordine né metodo, le più probanti testimonianze apparirebbero deboli, e la maggior parte dei colpevoli sfuggirebbero al castigo. - Ma questo procedimento che consiste nel precisare il pensiero indeciso dei testimoni non è pericoloso? - domandai. - Lo sarebbe se i magistrati non fossero coscenziosi. Ma io non ho ancora conosciuto un solo magistrato che non avesse un’alta coscienza dei suoi doveri. E pertanto io mi sono trovato a fianco di protestanti, di deisti e di ebrei: ma erano magistrati. - Se non altro la vostra maniera di fare, signor Thomas, ha questo inconveniente: che il testimonio, quando voi gli leggete la sua deposizione, non può assolutamente comprenderla, poiché voi vi avete introdotto dei termini che non sono da lui usati e il cui significato gli sfugge. Che rappresenta a quell’operaio giornaliero la vostra espressione di «passi sospetti» ? Vivacemente egli mi rispose: - Ci ho pensato, ed io prendo contro questo pericolo delle minuziose precauzioni.

Ve ne darò un esempio. Ci fu poco tempo fa un testimonio d’una intelligenza assai limitata, e la cui moralità m’è sconosciuta, il quale mi parve disattento alla lettura che il cancelliere gli dette della sua propria deposizione. Io gliene feci fare una seconda lettura, dopo averlo invitato a prestarvi una maggiore attenzione. Invece mi parve più che mai distratto. Fu allora che mi servii di uno stratagemma per costringerlo a un più giusto apprezzamento del suo dovere e della sua responsabilità. Dettai al cancelliere un’ultima frase che contraddiva tutte le precedenti, e invitai il testimonio a firmare. Al momento in cui posava la penna sulla carta, gli fermai il braccio ed esclamai: «Sciagurato! Voi state per firmare una dichiarazione contraria a quella che avete fatto, compiendo così un atto criminoso». - Ebbene, che vi disse il testimonio? - Mi rispose pietosamente: «Signor giudice, voi che siete più istruito di me dovete sapere meglio di me ciò che bisognava scrivere». Come vedete - aggiunse il signor Thomas - un giudice preoccupato di ben compiere le sue funzioni si guarda da ogni causa d’errore. Credetelo pure, caro signore, l’errore giudiziario è un mito.

* Racconti utili ( opere da tre soldi per quattro gatti - ed. Imagaenaria Ischia)

l’errore giudiziario è un mito

«SCIAGURATO! VOI STATE PER FIRMARE UNA DICHIARAZIONE CONTRARIA A QUELLA CHE AVETE FATTO, COMPIENDO COSÌ UN ATTO CRIMINOSO». - EBBENE, CHE VI DISSE IL TESTIMONIO? - MI RISPOSE PIETOSAMENTE: «SIGNOR GIUDICE, VOI CHE SIETE PIÙ ISTRUITO DI ME DOVETE SAPERE MEGLIO DI ME CIÒ CHE BISOGNAVA SCRIVERE».

COME VEDETE - AGGIUNSE IL SIGNOR THOMAS - UN GIUDICE PREOCCUPATO DI BEN COMPIERE LE SUE FUNZIONI SI GUARDA DA OGNI CAUSA D’ERRORE»

i principi irremovibili

«ERA ENTRATO VOLONTARIAMENTE NELLA MAGISTRATURA SOTTO IL SETTENNATO DEL MARESCIALLO MAC- MAHON NELLA SPERANZA DI RENDERE UN GIORNO LA GIUSTIZIA IN NOME DEL RE.

AVEVA DEI PRINCIPI CHE POTEVA CREDERE IRREMOVIBILI, NON AVENDOLI MAI MOSSI.

QUANDO SI MUOVE UN PRINCIPIO, SI TROVA SEMPRE QUALCHE COSA SOTTO, E CI SI ACCORGE CHE NON ERA UN PRINCIPIO»