Mentre la cronaca quotidiana ha base a Lampedusa nel consueto ring giornaliero del “Salvini contro tutti” c’è un’altra, ben più diffusa emergenza umanitaria italiana di cui – soprattutto in estate – non parla praticamente nessuno.

Sono le centinaia di migliaia gli anziani che in queste settimane di fatto vengono lasciati soli per i mesi di vacanza ( degli altri) e che per loro sono i più tristi di tutti.

Migliaia di pensionati senza reddito di cittadinanza e che non possono permettersi neppure un condizionatore affollano già alla mattina – chi almeno riesce a camminare – gli spazi pubblici dei supermercati perché sono gli unici posti gratuiti con l’aria condizionata e dove almeno si chiacchiera un po', per proseguire con i tanti che - dopo la partenza dei famigliari o delle badanti part time - si ritrovano soli nelle loro case vuote non potendosi pagare nemmeno un posto al mare in ultima fila o in una camera senza bagno alla Pensione Mariuccia.

Ma il vero dramma che ti stringe il cuore è camminare per i corridoi delle case di riposto e vedere gli “ospiti” lasciati soli nei letti, più o meno accuditi da inservienti quasi tutti stranieri perché gli italiani questo lavoro di assistenza da tempo non lo sopportano più.

Sono i “letti di sollievo” faticosamente approntati dalle ASL che spendono una fortuna per le emergenze in strutture che a volte sono in condizioni disastrose e dove i medici non passano quasi mai ( e tantomeno i carabinieri dei NAS). Edifici spesso vecchi e fatiscenti, ma già location principesche rispetto alle miriadi di piccoli pensioni o appartamenti ammobiliati con pochi letti e dove ufficialmente gli anziani sono posteggiati “in vacanza” dai famigliari in ferie e dove l’assistenza è praticamente nulla.

Soluzioni tampone ma che spesso diventano croniche, dove chi disturba viene sedato, i pannoloni cambiati “una tantum”, il vitto e la pulizia offerta sono davvero approssimati. Di queste emergenze non parla praticamente nessuno e solo per qualche caso limite si finisce in cronaca, ma è una realtà quotidiana ignota soprattutto ai più giovani che ( giustamente) pensano innanzitutto alle loro vacanze e che neppure immaginano o conoscono queste situazioni in una società che da tempo ha abolito i “doveri” e che quindi non li spinge neppure a prendere contatto con questo mondo di dolore che pure - alla fine – arriva quasi per tutti.

Sogno una società che torni ad imporre ai neo- maggiorenni un periodo obbligatorio di servizio alla comunità – in armi o meno, non importa – almeno per rendersi conto di queste umanità nascoste, dare un’ occhiata, capire meglio quanto si sia fortunati avendo almeno la giovinezza e salute, quella che tanti altri non hanno più.

Quanto sarebbe importante avere intorno una informazione adeguata, l’attenzione dei media a questo “non mondo”, come decisiva sarebbe l’azione di volontari a servizio di una comunità che dimentica il passato, sgretola il presente e non si preoccupa di questi aspetti del proprio futuro anche se – impietose- le statistiche ci dicono che le generazioni sempre più anziane sono e saranno di gran lunga le più numerose.

Qualche decennio fa le famiglie, allora nuclei ben più strutturati e con situazioni abitative più condivise, avevano di fatto creato una rete di assistenza interna, un soccorso e un’assistenza divisa tra parenti e cugini in una struttura sociale che nel paese, nella parrocchia, in una fitta rete di contatti e connessioni permetteva un’assistenza continua basata sugli affetti e una maggiore contiguità tra generazioni.

Oggi non solo non sappiamo nulla del nostro vicino di condominio, ma tutto è delegato all’assistenza pubblica che arriva quando e come può, sempre con costi sociali enormi e quasi sempre senza un minimo di contatto umano, condivisione e soprattutto amicizia. Sono concetti che non si possono scrivere nei manuali né valutare nei test eppure sono l’essenza dei valori di una comunità che soprattutto nei mesi estivi è diventata distratta, ma soprattutto estremamente egoista.