“Gomorra” e affini sono diseducativi e rischiano di provocare un effetto “emulazione”. E così, anziché censurare le mafie finiscono per esaltarle, trasfor-mando in eroi coloro che, nella realtà, sono i cattivi.

LE ACCUSE DI GRATTERI Nicola Gratteri, procuratore capo della Dda di Catanzaro, ancora una volta non le manda a dire. E, così come più volte ha fatto negli ultimi tre anni, punta il dito contro la serie tv nata dalla penna di Roberto Saviano, definito, nemmeno troppo tra le righe, un professionista dell’antimafia, un ingordo.

Un’occasione, quella fornita dal palco di “Estate a casa Berto” a Capo Vaticano, in Calabria, per rispedire al mittente le critiche di chi, come Marco D’Amore, protagonista della serie, aveva paventato il rischio di una censura.

«Qualche grande personaggio che si definisce intellettuale dice che vogliamo censurare la cultura- ha dichiarato il magistrato dialogando con il giornalista Paolo Conti, del CorSera, nel corso della rassegna - Io invece sono preoccupato perché i bambini si nutrono di queste porcherie. Oltre a fare il magistrato, io sono seguito da migliaia di persone per le quali sono un modello. Ciò significa che devo stare attento a quello che dico e a quello che faccio. Se so che scrivendo un romanzo, una sceneggiatura o qualsiasi altra cosa posso nuocere al comportamento dei ragazzi quel prodotto non lo faccio altrimenti sono uno spregiudicato o un ingordo che voglio solo guadagnare soldi».

Una tesi che Gratteri sostiene ormai da tempo, in compagnia di diversi colleghi, tra i quali anche il procuratore capo della Dna Federico Cafiero de Raho, secondo cui il rischio è quello di distorcere la realtà, raffigurando la camorra come fosse un’associazione come tante altre anziché rappresentarne la violenza che la caratterizza.

La polemica era nata in occasione della messa in onda della terza stagione di “Gomorra”, quando Gratteri aveva criticato il modello veicolato dalla serie tv, denunciando il rischio emulazione. «È dietro l'angolo - aveva messo in guardia Negli ultimi tempi, dagli eroi positivi destinati alla sconfitta si è passati ai boss protagonisti di storie più o meno ispirate a fatti veri. Sullo schermo vediamo un mondo abitato da ' paranze' assetate di sangue, senza alcun margine di redenzione. Alla fine, i personaggi positivi sono uomini di potere, uomini di parola e uomini che sanno imporsi. Ma sono sempre criminali».

I PROCURATORI COINTRO GOMORRA Ma non era stato il solo a farlo. Ad elargire critiche era stato, infatti, anche Giuseppe Borrelli, all’epoca procuratore aggiunto della Dda a Napoli, secondo cui la pecca di “Gomorra” sarebbe quella di offrire una rappresentazione folkloristica dei clan.

Parole che avevano allarmato il cast del film, che attraverso D’Amore, alias Ciro di Marzio, protagonista della fiction, aveva denunciato il rischio di censura nei confronti di quello che ha definito, invece, un fortissimo atto di denuncia partito proprio da Saviano. E lo stesso scrittore ha poi rispedito al mittente le accuse.

«Il rischio emulazione — aveva replicato — credo sia un paradosso. Chi guarda il padrino diventerà Michael Corleone? Chi legge Shakespeare diventerà Riccardo III? Quando un libro, un film, una serie tv raccontano le ferite senza edulcorarle, mettono a soqquadro la percezione della realtà facendo nascere una domanda: ma davvero questo accade? Una serie che racconta il male, mostra la ferita, produce sofferenza e quindi cambiamento e crescita».