PHOTO
È un obiettivo per il quale l’avvocatura ha investito molte energie: il diritto di voto degli avvocati sulle “carriere” dei magistrati. O più precisamente, il diritto di votare, sulle promozioni – e, nei rarissimi casi in cui ci si arriva, sulle bocciature – dei magistrati sottoposti alle periodiche valutazioni di professionalità. Prerogativa che, agli avvocati eletti nella componente laica del Csm, è ovviamente già riconosciuta, ma che per anni le rappresentanze forensi, e il Cnf in particolare, hanno chiesto fosse assicurata anche agli avvocati eletti nei Consigli giudiziari, i “mini- Csm locali” costituiti in tutti e 26 i distretti di Corte d’appello d’Italia.
Con la riforma Cartabia del Csm e dell’ordinamento giudiziario ( la legge delega 71 del 2022), tale possibilità è finalmente stata introdotta. È stata definitivamente attuata grazie a un decreto legislativo del nuovo governo, il numero 44 dello scorso 28 marzo, predisposto dal successore di Cartabia a via Arenula, Carlo Nordio. E il testo in vigore da alcuni mesi puntualizza l’articolata procedura con cui gli avvocati eletti nei Consigli giudiziari possono appunto votare anche le delibere con cui questi organismi dell’autogoverno locale esprimono i pareri, sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, da inviare al Csm.
Sarà poi palazzo Bachelet a decidere, in via definitiva, se la valutazione di professionalità dev’essere, in base a quanto previsto dalla riforma, positiva (secondo la nuova gradazione in “ottimo”, “buono” o “discreto”) o negativa. In modo da attribuire o meno, al giudice o al pm in questione, anche lo “scatto” retributivo.
Tutto per dire che l’Anm intende ora accendere un faro su quest’aspetto, finora poco considerato, della riforma. Lo farà nel “parlamentino” in programma per domani ( e che si riunirà non nella tradizionale sala di piazza Cavour, al sesto piano del “Palazzaccio”, ma nella sala Visconti dell’hotel Le Meridien a Roma, soluzione che dovrebbe consentire alla stampa di seguire più agevolmente i lavori). Ovvio che le prime questioni da dibattere saranno altre, e riguarderanno i temi caldi della politica giudiziaria, a cominciare dall’avvio dell’iter sulla separazione delle carriere e dalle discussioni su alcuni singoli “casi” (come segnalato nei giorni scorsi dal Dubbio), in particolare sulle critiche rivolte alla magistratura dal direttore di Libero Pietro Senaldi e dal professor Francesco Gazzoni nel proprio “Manuale di diritto privato”. Ma dovrebbe essere la volta buona per aprire anche il “file” sugli avvocati nei Consigli giudiziari.
Tema sollecitato, in particolare, da una delle componenti del “parlamentino” (meglio detto Comitato direttivo centrale), vale a dire Articolo 101, il gruppo “antisistema” dell’associazionismo giudiziario, che conta nel “Cdc” su quattro rappresentanti: Andrea Reale, Cristina Carunchio, Giovanni Favi e Ida Moretti. «Avevamo proposto di inserire il tema del voto degli avvocati sulle valutazioni di noi magistrati già nei mesi scorsi, addirittura prima che fosse emanato in via definitiva il decreto legislativo con cui il Consiglio dei ministri ha attuato definitivamente la riforma», spiega Regale, che esercita funzioni di giudice al Tribunale di Ragusa. «Devo dire che il tema suscita analisi diversificate persino all’interno della nostra componente, ma a maggior ragione credo sia importante discuterne nel Comitato direttivo centrale anche con i colleghi degli altri gruppi», prosegue Reale. «Personalmente credo che dovremmo farci sentire, e insistere nel segnalare i problemi legati alle nuove norme sui Consigli giudiziari. Premesso che il principale motivo di criticità è quello fondamentale di preservare l’indipendenza esterna di ogni singolo magistrato, vanno segnalati anche ulteriori rischi. In particolare quello, che sarà pure relativo a singoli rarissimi casi ma che secondo me non può essere escluso del tutto, di un uso strumentale delle nuove prerogative».
Reale dice cose “pesanti” e individua rischi assai discutibili, ma se non altro è trasparente nella sua posizione di allarme, condivisa da gran parte dei magistrati attivi nell’Anm: secondo questa visione preoccupata, un avvocato che ha diritto di voto sulla valutazione relativa a un magistrato potrebbe diventare una sorta di “insidia”, giacché potrebbe trovarsi, come difensore, di fronte al giudice o al pm in questione nell’ambito di un processo. E il punto, secondo questa prospettiva allarmata, è che, in contesti particolarmente condizionati dalla criminalità, una circostanza simile si traduca in una “indebita fonte di preoccupazione” per il magistrato.
Secondo queste analisi decisamente incupite che da anni circolano nella magistratura, gli avvocati dunque potrebbero farsi veicolo di pressioni – sul giudice o sul pm sottoposto, ora, anche al loro voto – in qualche modo “interessate”, in una singola causa civile o in un certo procedimento penale. È esattamente il motivo in base al quale la magistratura è sempre stata contraria al diritto di voto degli avvocati. E il quadro resta di prevalente ostilità alla nuova norna, ormai in vigore, nonostante la procedura prevista sia, come accennato, articolatissima, e quasi “esautori” i singoli avvocati eletti nei Consigli giudiziari (mediamente sono 3 su 16, gli altri sono un professore universitario, interessato dalle stesse novità, e 12 togati).
L’iniziativa infatti è attribuita al Consiglio dell’Ordine istituto nella sede giudiziaria in cui opera il magistrato sottoposto a valutazione. Anzi, è proprio da una delibera del Coa, che proviene la valutazione (positiva, non positiva o espressamente negativa) che poi il drappello di avvocati presenti nel Consiglio giudiziario sarà obbligato a fare propria, in modo unitario. Sì, c’è la possibilità, subordinata, che anche uno solo dei rappresentanti dell’avvocatura nel “mini- Csm locale” si trovi in disaccordo col giudizio espresso dal Coa, e chieda a quest’ultimo di ridiscutere e riformulare la deliberazione. Ma l’istituzione forense sarà poi liberissima di esprimersi esattamente come nella prima delibera, e a quel punto gli avvocati insediati nel Consiglio giudiziario saranno obbligati, tutti, ad adeguarsi.
Insomma: i margini per una gestione personalistica, manipolativa e scorretta del benedetto “voto sulle carriere” sono sostanzialmente nulli. E anzi, quel che l’Anm potrà mettere in cantiere domani sarà piuttosto avviare un monitoraggio per verificare cosa è accaduto in questi primi mesi di vigenza delle nuove norme. L’uso che l’avvocatura farà delle possibilità offerte dalla riforma non potrà essere che prudente e correttissimo, com’è sempre avvenuto con le già vigenti “segnalazioni” attribuite ai Coa.
Verificare in concreto servirà comunque a sfatare, ancora una volta, le leggende nere sulla presunta vocazione della professione forense all’infedeltà e al sabotaggio.