In Turchia l’avvocatura è sotto attacco. Pochi mesi fa l’Ordine degli avvocati di Istanbul – il più grande al mondo con quasi 70 mila iscritti -, presieduto dal costituzionalista Ibrahim Kaboglu, è stato dichiarato decaduto con l’accusa di «propaganda a favore di un’organizzazione terroristica» e «diffusione di informazioni fuorvianti». Inoltre, nello scorso fine settimana l’avvocato Mehmet Pehlivan, difensore del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu (nel frattempo sospeso dalla carica), in carcere da marzo con l’accusa di corruzione, è stato arresto per la seconda volta. Uno scenario inquietante in cui gli avvocati, sempre più spesso, sono assimilati ai loro assistiti con conseguenze dirette sul loro operato.

Alla condizione degli avvocati turchi il Coa di Brescia ha dedicato ieri un convegno nell’Auditorium Capretti. Il presidente dell’Ordine di Istanbul, Ibrahim Kaboglu, non ha potuto partecipare in videocollegamento. Per alcune ore, facendo temere il peggio, è stato trattenuto dalla polizia dopo essere sceso in piazza per protestare contro i soprusi patiti dall’avvocatura turca. In serata è stato lo stesso Kaboglu a rassicurare tutti: nessun arresto, può muoversi liberamente. L’iniziativa bresciana è stata organizzata in collaborazione con il Coa di Cremona, la Scuola forense OAB, la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e Ciels Campus.

I lavori sono stati aperti da Vittorio Minervini (consigliere Cnf e vicepresidente della Fondazione dell’avvocatura italiana), Giovanni Rocchi (presidente dell’Ordine degli avvocati di Brescia) e Alessio Romanelli (presidente dell’Ordine degli avvocati di Cremona). «Gli avvocati in pericolo – ha affermato Vittorio Minervini – sono lo specchio di alcune realtà con deficit democratico sparse per il mondo alle quali è dedicato il lavoro dell’Oiad. Non dobbiamo illuderci che l’avvocatura sia in pericolo in luoghi lontanissimi da noi. Segnali poco confortanti, infatti, giungono da quella che è definita la “culla della democrazia”: gli Stati Uniti. Agli Stati Uniti sarà dedicata la giornata dell’avvocato in pericolo nel prossimo gennaio». Il vicepresidente della Fai ha riflettuto sulle violazioni del diritto internazionale alle quali stiamo assistendo negli ultimi tempi. «Se la tutela del diritto internazionale – ha aggiunto – non è più un caposaldo, allora dobbiamo preoccuparci».

Secondo Giovanni Rocchi, le occasioni di confronto sulle condizioni in cui versano le avvocature perseguitate sono preziose per uscire da una sorta di “confort zone” e volgere lo sguardo oltre i confini nazionali. «Da molto tempo – ha affermato - il Coa di Brescia segue da vicino, anche grazie ad alcuni osservatori internazionali, nostri iscritti, le vicende degli avvocati in Turchia. L’attenzione sul alcune derive deve essere sempre alta».

Il presidente del Coa di Cremona, Alessio Romanelli, ha espresso parole di vicinanza all’avvocatura turca («Non possiamo che manifestare il nostro affetto a chi è costretto a lavorare in condizioni difficili, correndo grossi rischi»). Massimo Audisio (componente Commissione Cnf di Diritto europeo e internazionale, componente del direttivo dell’Oiad) ha seguito da vicino i lavori che hanno portato alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione degli avvocati. «Si tratta – ha commentato Audisio – di un passaggio storico. È il primo trattato internazionale in assoluto, volto a proteggere la professione di avvocato in un contesto di crescenti segnalazioni di attacchi contro la pratica della professione. Pensiamo alle molestie, alle minacce o alle aggressioni, senza tralasciare le interferenze nell’esercizio delle attività professionali».

In Turchia si è recata più volte Barbara Porta della Commissione Cnf sui Diritti umani e sulla protezione internazionale e presidente del Comitato Human rights del CCBE. «Purtroppo – ha riflettuto Porta - i processi a carico dei colleghi turchi hanno una chiara matrice politica per silenziare le voci del dissenso antigovernativo su alcuni temi di vitale importanza: la tutela delle libertà fondamentali, un giusto e equo processo e la salvaguardia dello Stato di diritto, così come definito dal Trattato sull’Unione europea».

In Turchia dal 2018 alla fine del 2024 quasi 600 avvocati sono stati arrestati con condanne complessive a 1.500 anni di carcere. Tra gli osservatori sui processi che riguardano gli avvocati turchi ci sono pure Alessandro Magoni (Osservatorio avvocati minacciati Ucpi) e Alessandro Bertoli (osservatore internazionale dell’Oiad), entrambi del Foro di Brescia. «Quello che più stupisce – ha detto Magoni – è l’accusa a carico dei componenti dell’Ordine di Istanbul di propaganda a sostegno di un’organizzazione terroristica, dopo aver criticato le autorità militari e politiche per l’uccisione di due giornalisti in Siria considerati membri del Pkk».

Magoni, invece, si è soffermato sui modi sbrigativi della magistratura turca nel definire i processi a carico degli avvocati. «Qui da noi in Italia – ha spiegato -, ogni tanto, ci lamentiamo del fatto che i giudici facciano inviti alle difese ad essere stringati. In Turchia questo rischio non si corre. Il giudice resta impassibile per ore, senza curarsi delle critiche non solo dei legali, ma anche del pubblico. Il giudice dorme, alza il quadernino con quattro appunti. Ma alla fine la sentenza è già scritta, come era ovvio che fosse».

La vicepresidente del Coa di Brescia, Valeria Cominotti, ha sottolineato l’impegno del Foro della città lombarda: «Siamo sensibili alle condizioni di lavoro dei colleghi di altri Paesi. Quanto sta accadendo a Istanbul e in Turchia deve farci riflettere. Anche io ho potuto constatare di persona quanto sia difficile operare in quel contesto, dove gli avvocati, presidio di democrazia, mettono a rischio la loro vita. L’avvocatura turca è sotto assedio. La vicenda del professor Kaboglu, insigne studioso di diritto costituzionale e presidente dell’Ordine degli avvocati di Istanbul, offre un quadro molto preoccupante. Per questo motivo iniziative come la nostra servono a sensibilizzare i colleghi italiani. Non dobbiamo mai abbassare la guardia».