Ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che, oltre a essere un magistrato, ha anche la delega ai Servizi, non sfugge un aspetto forse sottovalutato, sull’uso dell’intelligenza artificiale in ambito “pubblico”: «Dobbiamo guardarci innanzitutto dal rischio di torsioni orwelliane. Il ricorso alla tecnologia, nei regimi totalitari, arriva fino al controllo degli stati emotivi, ma purtroppo le stesse società occidentali non sono immuni da simili tentazioni». E quindi: non ci si soffermi solo sull’effetto disumanizzante, bisogna stare attenti anche a come il robot può essere strumento di potere.

Da qui, il senso forse più originale, e in fondo spiazzante, che proviene dall’intensa giornata alla quale oggi Mantovano ha preso parte con il mondo forense: il G7 delle avvocature, riunitosi a Roma presso la Pontificia università della Santa Croce e dedicato appunto a “Intelligenza artificiale e valori democratici: etica, innovazione tecnologica e tutela dei diritti della persona”, da cui è emerso appunto il pericolo che la tecnologia si trasformi in un’arma impropria non solo e non tanto a detrimento della componente umana, ma innanzitutto come strumento di manipolazione nelle mani dell’autorità pubblica.
Da qui un’altra frase pronunciata nel proprio discorso dal sottosegretario alla Presidenza, destinata a lasciare il segno: «Non può esistere che il giudice chieda all’intelligenza artificiale di scrivere la sentenza. E non è uno scenario irrealistico, se pensiamo a quanto sia diffusa la pratica del copia e incolla nella stesura dei provvedimenti». Detto da una delle figure più autorevoli dell’Esecutivo che, come ricordato, proviene proprio dall’ordine giudiziario, è una considerazione di un certo peso. Ed è destinata a riflettersi nel disegno di legge sul corretto uso della Ia annunciato dallo stesso Mantovano, un testo di matrice governativa che è in preparazione e che «sarà discusso in uno dei prossimi Consigli dei ministri».
Di lì a poco sarà un altro esponente di primo piano del governo, il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto - che in virtù della propria matrice di penalista è anche portatore, nelle istituzioni, delle attese dell’avvocatura -, a leggere alla platea di avvocati italiani e degli altri Paesi del G7 un passaggio della nuova legge, messo a punto in particolare a via Arenula: «Si deve prevedere l’uso dell’Ia nell’attività giudiziaria esclusivamente, e lo sottolineo, per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro, per la ricerca dottrinale e giurisprudenziale anche finalizzata all’individuazione di orientamenti interpretati». Significa, prosegue il numero due della Giustizia, che «in nessun caso si dovrebbe arrivare a sentenze affidate all’intelligenza artificiale anziché scritte da un giudice. E, almeno a mio giudizio, sarà probabilmente necessario prevedere la nullità di una sentenza per la quale si sia accertata una genesi non umana».
Applausi della platea e del presidente del Cnf italiano Francesco Greco, che ha aperto poco prima il summit, dedicato al confronto con le istituzioni ma anche con l’accademia, in particolare grazie alle sessioni che, sempre nella prima parte della giornata, hanno visto avvicendarsi tra gli altri l’ordinario di Diritto privato comparato dell’università Sant’Anna di Pisa Giovanni Comandé e la professoressa di Diritto civile e delle nuove tecnologie del Suor Orsola Benincasa di Napoli Lucilla Gatt.

Un approfondimento culminato nelle lectio magistralis della ex guardasigilli Paola Severino e del presidente emerito del Cnf Guido Alpa. Ebbene, l’attuale vertice della massima istituzione forense italiana, Greco appunto, prima che intervenisse Mantovano, aveva chiesto in modo esplicito la «nullità per le sentenze eventualmente prodotte dalla Ia anziché dal giudice».

Il numero uno di via del Governo Vecchio non ha mancato di definire «condivise dai colleghi degli altri grandi Paesi, come è emerso in un primo confronto che abbiamo avuto ieri le nostre stesse preoccupazioni. E non si pensi che in sistemi e realtà come quella britannica ci sia un atteggiamento più leggero: il collega della Law society mi ha spiegato come Oltremanica siano pochissimi gli studi legali dotati di sistemi di intelligenza artificiale. Né nel nostro Paese possiamo pensare che uno strumento simile, certamente rivoluzionario, resti accessibile solo ai grandissimi studi, che come sappiamo sono concentrati quasi esclusivamente al Nord e in particolare a Milano. Anche per questo, come Cnf abbiamo cominciato a valutare la possibilità di dotarci di un nostro sistema di Intelligenza artificiale da mettere a disposizione di tutti gli avvocati italiani. Una rivoluzione straordinaria, certamente destinata a cambiare non solo la nostra professione ma l’intero mondo in cui viviamo, deve per forza di cose essere accessibile a tutti».

Va detto che Greco quasi si schernisce rispetto al tema del giorno, il ddl sull’uso della Ia (non solo nella giustizia ma anche in ambito sanitario, per esempio), provvedimento che, come anticipato da Mantovano e Sisto, sarà varato a breve, e che è il frutto di un approfondito scambio fra il governo e le componenti della società italiana più direttamente coinvolte, a cominciare proprio dagli avvocati. Il presidente del Cnf parla di «piccolo contributo che abbiamo messo a disposizione dell’Esecutivo».

Il sottosegretario alla Presidenza sarà più netto nel parlare di «lavoro prezioso del Cnf». Ne parlerà anche Sisto, che ricorda le interlocuzioni avute con Greco e come «la vera politica, al suo livello più alto, forse si realizza proprio con le soluzioni individuate, attraverso scambi informali, fra persone in grado di trovare una consonanza». E per il viceministro della Giustizia è la chiusura di un cerchio, «la dimostrazione di quanto sia insostituibile, anche nei tribunali, la componente umana: la Ia non potrà mai soppiantare la vera giustizia». Come dirà poco più avanti la professoressa Gatt, «sarebbe indispensabile che ministero, Cnf e Csm definissero insieme, in questo ambito, le prime dieci azioni comuni da mettere in campo», tra cui anche «un inquadramento deontologico dell’uso legale dell’Ia». Sisto non trascura la questione e prevede che «i Consigli dell’Ordine vigilino su eventuali abusi di difesa».

Ma è chiaro che la stessa scelta di dedicare il G7 delle avvocature all’impatto della tecnologia sulla tutela della persona rimandi a una posizione di vittima, e non certo di manipolatrice, della professione forense. Il numero due di via Arenula ricorda che «dobbiamo guardarci da tutte le derive capaci di minimizzare la funzione difensiva. Intanto, come sa il presidente Greco, al ministero siamo al lavoro per modificare il codice del processo amministrativo in modo che mai più un avvocato debba veder dichiarato inammissibile il proprio ricorso per il semplice fatto di aver sforato, nella stesura del proprio atto, un limite di lunghezza». E non è una questione estranea alla deriva tecnologica della giurisdizione, giacché «l’ossessione per la sintesi può anche, per analogia, precipitarci in una giustizia sintetica, cioè di plastica». Artificiale, appunto.

«Dobbiamo considerare che un domani, anzi presto, potranno essere disponibili on line programmi con i quali il cittadino sarà illuso di poter ricevere da una macchina la soluzione a un quesito giuridico: è uno scenario di fronte al quale dobbiamo chiederci qual è il destino a cui va incontro la professione di avvocato. E proprio un interrogativo del genere», dice Sisto, «spinge me, che non sono mai stato un fanatico dell’avvocato in Costituzione, a dire invece che, mai come in questo momento, quella riforma è necessaria: se avanza l’intelligenza di matrice non umana, bisogna radicare tra i princìpi l’umanità irrinunciabile della funzione difensiva». È indiscutibile. E mai come in una sfida del genere, l’interesse di uno Stato davvero democratico converge con quello di tutte le avvocature.