Quasi a bassa voce, come se ci potesse sentire qualcuno, un deputato del Pd, due giorni fa, confida al Dubbio una certezza che però non intende associare al proprio nome. «Ora vi spiego, ora vi dico perché noi del Pd insistiamo, come vedo ha fatto anche Walter Verini in un colloquio appena intercorso con il vostro giornale. C’è grande sconcerto, allarme, preoccupazione e anche coscienza delle responsabilità generali per quanto accade con il Qatargate. Vedete, è vero che non abbiamo neanche un indagato, ma...».

Ecco, bisognerebbe partire da questo: il Pd non ha indagati. È al centro dell’inchiesta, sì, una persona che, in quanto ex europarlamentare della sinistra dem, aveva a suo tempo la tessera del Nazzareno e poi è passato ad Articolo 1, nel frattempo ha smesso di fare politica come la si intende comunemente e ha intrapreso la spericolata carriera di lobbista: si chiama Antonio Panzeri, ormai lo conosciamo tutti.

A parte lui, che comunque non è del Pd, c’è solo Andrea Cozzolino, che è del Pd ma non è indagato. Tutte obiezioni che nella cordiale chiacchierata telefonica abbiamo ribadito due giorni fa al nostro allarmatissimo interlocutore democrat. Il quale ribatteva con flemmatica, grave e incontrovertibile certezza: «Vedete, il sistema giudiziario belga non è come il nostro, non ti indagano subito. Prima ti fanno terra bruciata attorno, cioè spremono i tuoi contatti, indagano questi, poi al momento opportuno spiccano le accuse e possono anche arrivare gli arresti, e sarà come Mani pulite, ma esploderà a distanza di qualche tempo».
Prima le indagini, poi la bomba. Il nostro interlocutore, del quale teniamo a preservare la riservatezza, ma che è un esponente Pd di rango, e anche non proprio nuovo alle questioni di diritto, ne parla con assoluta e quasi apodittica sicurezza. E a pensarci bene la nenia va avanti dall’inizio, dal 9 dicembre, giorno in cui si è saputo dell’indagine: vedrete, sembra sussurrino un po’ tutti, dalle parti del Nazareno, è molto peggio, sarà molto peggio, per noi innanzitutto, di come sembra.
Ora, non ce ne vorranno, gli amici dem che pure sono interlocutori quasi sempre preziosissimi per questo giornale, che hanno interpretato in questi anni, sulla giustizia, la pazienza della mediazione, e si sono presi più di uno sberleffo: dai giustizialisti, cioè dai 5S, ma più ancora dai garantisti, dall’attuale Terzo polo e da quel che di garantista davvero c’è nel centrodestra. Non ce ne vorranno, i dem, ma questa storia che la giustizia belga non funziona come da noi, che con le indagini si parte lenti e poi arriva l’uragano, non ci convince. Quel poco che la magistratura belga dice a proposito di chi, come Cozzolino e Alessandra Moretti, è citato nelle carte ma non indagato, è che, sì, si tratta di persone che hanno parlato bene del Qatar, si sono spese per orientare i deliberati su Doha o sul Marocco in una certa direzione, ma che non ci sono elementi per inquisirli.

Non ci sono prove, insomma. Non è che non sono indagati perché il sistema belga funzioni come uno stillicidio sadico in cui ti fanno capire che sei spacciato e poi, dopo mesi, di incubo, ti colpiscono davvero. Semplicemente, non ci sarebbe motivo di arrestarli, di indagarli nemmeno. E invece la leggenda nera va avanti. Come un’autonemesi della sinistra italiana, che quasi attende la propria Mani pulite, come un messia alla rovescia. Ah, poi visto che le leggende nere si autoalimentano, ieri il Foglio ha dovuto svelarci che il direttore del quotidiano belga Le Soir è ormai sfinito dalle telefonate dei colleghi italiani. Lo tempestano per avere i nomi, altri nomi. Nomi italiani, ovviamente. Nomi di indagati. Gente da infilzare nella gogna immaginaria. Solo che non ce ne sono. Tutti alla ricerca di una Mani pulite, virata in salsa rosso progressista. Ma magari non c’è. O al massimo è una leggenda. Nera.