Senatore Verini, la manovra è arrivata in Aula con l’acqua alla gola, dopo il caos degli scorsi giorni. Come la giudica?

Meloni diceva “siamo pronti” ma in realtà non lo erano minimamente. E lo dimostra il caos di questa manovra. Rischiamo davvero l’esercizio provvisorio e sarebbe un danno per il paese. E particolarmente grave è la responsabilità della maggioranza, che ha improvvisato una manovra il cui primo, grande limite è che non ha una visione. I contributi per famiglie e imprese contro il caro energia bastano per soli tre mesi, e l’insieme di questa legge di bilancio colpisce la sanità pubblica, la scuola pubblica, due architravi del nostro sistema. Dà dei segnali assolutamente sbagliati e diseducativi socialmente ed eticamente, visto che c’era addirittura il tentativo gravissimo di inserire un scudo penale che avrebbe meritato l’ostruzionismo.

Cosa manca in questa legge di Bilancio?

Si sarebbe dovuto colpire di più gli extraprofitti e aggredire maggiormente l’evasione fiscale. Questo non è stato fatto, e a ciò si aggiunge il nuovo codice degli appalti e l’aver tolto dai reati ostativi quello di corruzione associata, l’insieme dà l’impressione di un governo che premia gli evasori e strizza l’occhio a chi non rispetta le regole. Per questo occorre riprendere in mano con forza la battaglia contro le mafie e i rischi di penetrazione nell’economia e nel Pnrr.

Eppure il governo dei passi indietro li ha fatti, basti pensare alla norma sull’uso dei Pos. Non è stato sufficiente?

Alcune battaglie hanno dovuto rimangiarsele, tipo quella sulla flat tax, perché avrebbero sbaragliato i conti, messo a rischio il Pnrr e avrebbero isolato ancora di più l’Italia rispetto all’Europa. L’attacco alla 18app è un segno identitario: questa destra considera la cultura come un optional e non come un asset strategico del nostro sistema. Anche la battaglia sul Pos si inserisce in quei segnali ambigui e pericolosi che strizzano l’occhio a chi cerca di imbrogliare.

Ha parlato dei reati che prevedono l’ergastolo ostativo: non crede che il Pd dovrebbe invece sostenere le battaglie del ministro Nordio, o almeno parte di esse, in senso garantista?

È un governo che fa il garantista per gli amici suoi. Quel che dice Nordio è pericoloso, perché se proprio si vuole intervenire sulla Giustizia bisogna farlo accelerando le assunzioni, intervenendo su civile e penale e favorendo un’elezione del Csm che sia la più autorevole possibile. È poi vergognoso - non trovo altra parola- che questo governo rimandi dal primo gennaio a dormire in carcere alcune centinaia di persone che erano già in semilibertà due anni fa e che i governi Conte e Draghi, su proposta del Pd, stabilirono che non tornassero dentro la sera per evitare il contagio. Ne ho parlato anche con la presidente Meloni. È una barbarie.

Ha avuto segnali da Meloni su questo?

In Aula Giorgis, io, abbiamo fatto appelli, durante la discussione sul decreto rave, e ieri ( martedì, ndr) ho posto a Nordio il problema in commissione. Meloni mi ha detto che se ne sarebbe occupata e che ne avrebbe parlato con il ministro. Sono persone protagoniste di percorsi rieducativi, che hanno rispettato i provvedimenti. Ma questo è un governo garantista, sì, ma con gli evasori, non con la povera gente.

Questa mattina al Nazareno l’incontro tra i candidati alla segreteria, promesso da lei e altri esponenti di partito. Qual è l’obiettivo?

Secondo me l’iniziativa, che non a caso è stata portata avanti da persone diverse tra loro ma legate personalmente e politicamente alla stagione dell’Ulivo e del Lingotto, arriva dalla necessità di fermarsi un attimo e ragionare su cosa siamo oggi. Un conto è fare l’analisi della globalizzazione nel 2007, un conto è farla oggi. Parlo di disuguaglianze, di nuove libertà, della crisi economica e della guerra. Ma le radici e i principi ispiratori del Pd restano validi. Lo stesso Lingotto evocava le lotte sindacali ma anche l’industria e la tecnologia. Per non parlare di Torino come simbolo di incrocio di culture, da Gramsci a Bobbio e Gobetti. L’incontro di oggi serve a dire “cambiamo tutto, ma le fondamenta non si toccano”.

Crede che i tre candidati siano d’accordo su questo punto?

È la prima volta che i tre candidati insieme si incontrano. Ognuno con i suoi toni, ma ci aspettiamo che tutti condividano che questa è la cornice entro la quale ci ritroviamo. Poi ognuno dipingerà il “quadro” che crede, che sarà scelto dalle primarie. Ma c’è bisogno di riconoscere le nostre radici, che sono quelle partite dall’Ulivo nel 1996 e che arrivano fino al Lingotto 2007. Dobbiamo essere un partito aperto, che la mattina si sveglia e si chiede cosa deve fare per migliorare quello che c’è fuori, nel quartiere, nella città, nella regione, nel paese. Non un partito chiuso in se stesso che litiga per le cariche.

A proposito di Pd, non credo che sul caso Qatargate si stia tirando un po’ troppo la croce addosso, mentre, come ha scritto Giorgio Gori, dovrebbe tirare fuori un po’ di amor proprio?

Penso che quella sia una vicenda drammatica dal punto di vista politico. Poi per quanto riguarda il penale vedremo l’indagine e se ci sono reati, come pare dalle indagini, lo decideranno i magistrati. Ma quel che è accaduto colpisce i principi fondamentali dell’agire politico in generale e soprattutto della sinistra. Non si barattano ideali per qualcosa di materiale. La questione morale di Berlinguer è attuale perché invitava i partiti a non occupare spazi impropri. È l’occasione per il Pd di riflettere su se stesso e anzi dovremmo essere ancora più coraggiosi.

In che modo il Pd potrebbe ribaltare la questione?

Ad esempio ricordando che i valori della sinistra, che Berlinguer e non solo lui richiamava, consistono nel non lottizzare, non occupare enti in maniera impropria, nel far prevalere merito e competenze e non le fedeltà partitiche. Serve una rivoluzione copernicana nel rapporto tra politica e cosa pubblica. Non è un problema solo di nuove norme penali per contrastare la corruzione ma non è nemmeno il tempo di allentarle, come sta facendo la destra. Bisogna, insomma, alzare gli anticorpi e recuperare la moralità, che non è moralismo. L’etica della politica riguarda tutti. E per noi, ricordiamolo, oltre Berlinguer e Moro, ci sono anche Zaccagnini, Pertini, la sobrietà e il rigore dei repubblicani e degli azionisti. E i Piersanti Mattarella e Pio La Torre.