L’ALTRO CONFLITTO

La gestione americana della crisi vuole riaffermare la leadership di Washington

IL

North Stream 2 è morto. È un grosso pezzo di metallo in fondo al mare e non penso che possa essere resuscitato» : sono parole di Victoria Nuland, sottosegretaria agli Esteri americana a di sfuggita moglie dello storico citato da Mario Draghi nel suo discorso in Parlamento, Robert Kagan, già teorico delle guerre per esportare la democrazia di inizio secolo. Data l'autorevolezza della fonte sono parole molto significative, soprattutto per la massima soddisfazione che trapela. North Strem era il gasdotto che avrebbe dovuto portare ( e in realtà potrebbe ancora farlo in futuro) il gas russo in Germania a prezzo sensibilmente ridotto. La Germania, certamente a malincuore, ha dovuto rinunciare a mettere in funzione il gasdotto dopo l'invasione russa. Il che tuttavia non giustifica né spiega gli accenti trionfali nella dichiarazione della Nuland.

Il fatto è che agli Usa quel gasdotto non era mai andato giù. Temevano l'avvicinamento tra Germania, probabile testa di ponte dell'intera Ue, e Russia ma anche tra Germania e Cina. Sarebbe molto esagerato sostenere, come pure qualcuno fa, che il principale interesse strategico degli Usa, nel conflitto ucraino, era proprio far brillare quel ponte fra Ue e Russia ma di certo quello scenario era ben presente negli schemi di Washington e la dichiarazione della sottosegretaria agli Esteri lo conferma. È un grido di vittoria ma non sui russi: sugli europei.

La guerra è destinata a ridisegnare da ogni punto di vista la mappa dei rapporti di potere in buona parte del mondo. Per una volta non è una banale ricerca dell'effetto facile dire che nulla sarà più come prima. Nel blocco occidentale le cosa cambieranno da molti punti di vista. Da un lato il conflitto imprime una inevitabile accelerazione al processo di integrazione europea, il riarmo tedesco è destinato a modificare sensibilmente il quadro dei rapporti di forza in Europa e nella Nato e la prospettiva di una forza militare comune europea ha acquistato per la prima volta un qualche spessore. Dall'altro però la direzione strategica tutta americana della crisi riafferma non senza una certa brutalità la leadership di Washington sull'intero occidente.

I Paesi certo di non secondaria importanza come la Germania e l'Italia avevano provato, all'inizio, a smarcarsi dalla strategia delle sanzioni severissime, che penalizza alcuni grandi Paesi europei infinitamente più che non gli Usa, sono stati messi in riga quasi in poche ore e senza andare troppo per il sottile. Anzi, mettendo proprio all'indice su editoriali e interviste i due Paesi e specificamente il premier italiano Draghi, che da quel momento sembra aver perso ogni velleità di autonomia. È vero che la Germania, spalleggiata però discretamente dall'Italia, si è per ora impuntata sul respingere la richiesta americana di embargo sul petrolio russo. Ma è anche vero che per la Germania, ancor più che per l'Italia, era questione di vita o di morte, data la dipendenza profondissima dal petrolio di Putin. Ma la stessa sostanziale assenza di iniziative diplomatiche autonome della Ue conferma che la guida della crisi è destinata a restare saldamente nelle mani degli Usa, e della Nato controllata dagli Usa, salvo traumatici sconvolgimenti del quadro. Poi tutto dipenderà dall'esito politico della crisi: se Biden ne uscirà politicamente vincente la presa degli Usa resterà saldissima, in caso contrario si sfalderà o almeno allenterà.

Nella crisi l'Italia sembra aver perso alcune posizioni. Le esitazioni iniziale di un premier la cui nomina era stata in realtà fortemente sponsorizzata dagli Usa proprio perché considerato molto più atlantista del suo predecessore ha chiaramente irritato gli Usa, al punto di fare proprio di Draghi oggetto di un'offensiva mediatica che mirava in realtà a condizionare anche Scholz. L'assenza dell'Italia prima dal vertice Usa- Uk- Germania- Francia, poi, il giorno dopo, dal vertice tra Cina, Germania e Francia sono da questo punto di vista eloquenti. Allo stesso tempo la Russia, che contava sull'Italia come sponda se non amica almeno meno ostile del resto d'Europa, si è tanto risentita per la scelta del premier italiano di non incontrare Putin, come richiesto da leader russo, da inserire l'Italia nella lista dei Paesi ostili.

L'Italia si trova in realtà in una posizione delicata: sarebbe in postazione adeguata per dispiegare una strategia diplomatica, come erano soliti fare soprattutto in Medio Oriente i governi della prima Repubblica. Ma da un lato non dispone di n ceto politico altrettanto abile, e dall'altro ha poco spazio agibile in un quadro nel quale l'intera Europa appare tagliata fuori da ogni vero protagonismo.