Una «semplificazione argomentativa svilente». Ragionamenti «apodittici», assenza di riscontri sull’ipotetico «pactum sceleris» e condotte assimilabili al più all’abuso d’ufficio (come ipotizzato dal Dubbio mesi fa), che però non esiste più. È una bocciatura pesante quella messa nero su bianco dai giudici del Riesame di Milano nelle motivazioni dei provvedimenti con i quali sono state annullate le misure cautelari per l’architetto Alessandro Scandurra e il costruttore Andrea Bezziccheri, unico tra gli indagati dell’inchiesta sull’Urbanistica di Milano a finire in carcere.

Arresti che non avrebbero dovuto esserci, dal momento che mancano - a dire dei giudici - gli elementi costitutivi della corruzione. Per ritenere sussistente la corruzione propria, spiega il Riesame, nei casi in cui - come questo - il passaggio di denaro è documentato, «è necessaria la prova del pactum sceleris (...) non essendo quindi sufficiente a tali fini la mera circostanza della intervenuta dazione di utilità». È necessario, dunque, un «rapporto sinallagmatico», anche perché ridurre la violazione dell’imparzialità al solo fatto del pagamento porterebbe a un’interpretazione troppo ampia dell’art. 319 c.p..

Ebbene, nell’inchiesta sull’Urbanistica il lavoro di ricostruzione di questo imprescindibile patto non c’è. Nessuna prova, nessun riscontro, anzi: «Le complessive emergenze processuali non hanno dimostrato che tra Scandurra e gli imprenditori di riferimento (Catella e Bezziccheri)» ci fosse tale accordo, i cui termini sarebbero stati dedotti dal gip Mattia Fiorentini «con ragionamento congetturale (incarico professionale/ remunerazione/ corruzione)». Insomma, il gip, anziché ricostruire «la genesi del patto corruttivo», sarebbe partito dalla fine, dall’atto considerato illegittimo, giungendo così «a ritenere automaticamente configurata l’esistenza del patto illecito». In questo modo, «il rapporto economico diviene automaticamente prova del dovere di astensione e la sua violazione diventa prova dell’accordo corruttivo».

Ma mancano molti pezzi. Come l’elemento soggettivo del reato: l’impostazione accusatoria, infatti, fa discendere l’atto contrario ai doveri d’ufficio dalla mancata astensione di Scandurra in Commissione Paesaggio nei casi in cui ci sarebbe stato conflitto di interesse. Per il gip, dunque, la sua presenza avrebbe «“orientato” la valutazione della Commissione in favore degli imprenditori, “partecipando al voto”, “condizionando gli altri membri e l’attività della Commissione”».

Ma non solo «tali condizionamenti non sono stati affatto dimostrati (la Commissione era composta da 11 membri, non vi sono evidenze di indebite pressioni o sollecitazioni da parte di Scandurra)», ma il gip si sarebbe limitato ad affermare che «non sussistono dubbi circa la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo agli indagati, stante l’inequivoco tenore delle parole profferite (quali?) e dei comportamenti tenuti (quali?), insuscettibili di interpretazione alternativa». E quei “quali” inseriti nel discorso dal Riesame, rendono chiaro come a tale ragionamento non vi sia, agli atti, alcun riscontro. Non nelle chat, che anzi sembrano non dimostrare proprio nulla, a leggere i giudici della libertà.

Insomma, il giudice non ha chiarito se l’omessa astensione di Scandurra «sia stata volontaria e consapevole» per raggiungere lo scopo illecito. Anche perché la disciplina del conflitto di interessi in seno alla Commissione era connotata, scrivono i giudici, «da indubbi profili di lacunosità e ambiguità», con un cambio di regolamento in corso che ha necessitato di più confronti e chiarimenti, «a riprova della non immediatezza della portata precettiva della regolamentazione». Circostanza «del tutto trascurata dal gip che, anziché affrontare il tema con argomentazioni più ficcanti, ha biasimato gli indagati accusandoli di volersi “trincerare” dietro il Regolamento Edilizio del Comune».

Il gip, rimandando agli atti del pm, avrebbe omesso «di considerare le risultanze probatorie nella loro dimensione dinamica, riproponendole acriticamente e connotandole di autoevidenza», dando per scontati riscontri che, invece, non ci sono. E avrebbe dato per scontato - «attraverso il ricorso a congetture» - anche il fatto che le remunerazioni ricevute da Scandurra fossero indebite: «Sarebbe sufficiente, per il gip, l’esistenza di un pagamento e lo svolgimento della funzione pubblica in presunto conflitto di interessi per poter ritenere sussistente un accordo corruttivo». Una semplificazione argomentativa, appunto, «svilente». Anche perché è stato ignorato che Scandurra «è un professionista di alto livello, destinatario di riconoscimenti internazionali» ed essere pagati per il proprio lavoro non è un reato, non essendoci, tra l’altro, traccia di «sovrafatturazioni o di fatture false». La conclusione è chiara: «Un quadro fattuale confuso» che non conforta l’ipotesi accusatoria.

Segue la disamina dei singoli casi, rispetto ai quali le conclusioni sono laconiche: «Se queste sono le evidenze - si legge -, non vi è alcuna prova del patto corruttivo». Ci sono, invece, prospettazioni «suggestive», ma «prive di fondamento». Ed è «piuttosto irrealistico ipotizzare che l’intera Commissione condiscendesse supinamente alle richieste di Scandurra a meno di voler sostenere apoditticamente, come fa il gip, che l’intera compagine non fosse altro che un “vero e proprio centro di potere intriso di conflitto di interessi, i cui ingranaggi vengono oliati attraverso accordi corruttivi e laute remunerazioni ai pubblici ufficiali iscritti a libro paga dei privati”. In questo caso, le iscrizioni nel registro degli indagati avrebbero dovuto riguardare la totalità dei commissari. Non vi è un solo elemento probante».

L’ipotesi alternativa, cioè che Scandurra fosse scelto per le sue competenze professionali e per la pregressa realizzazione di progetti dello stesso tipo, non è stata tenuta in considerazione. E tutta la sua attività «viene ammantata da un velo di opacità», con una «definita “smaccata e perniciosa”», ma «senza alcuna evidenza probatoria». Insomma, per provare la corruzione servirebbe ben altro. E come dice il Riesame, «altro non c’è».