C’è un caso recente che merita di essere citato non foss’altro per il clamore e il rilievo dell’interessato: è l’assurda vicenda del vicegovernatore ligure Alessandro Piana, finito alla solita gogna, una ventina di giorni fa, per la presunta partecipazione a festini con coca e escort. Notizie, smentite dal numero due della giunta Toti, divenute pubbliche perché citate nell’ordinanza cautelare di un procedimento in cui lo stesso Piana neppure è indagato. È l’ultimo dei danni causati da un clamoroso vulnus dell’ordinamento, introdotto dalla riforma Orlando delle intercettazioni, che rende appunto pienamente pubblicabili le ordinanze dei gip. Di fatto è il cavallo di Troia della presunzione d’innocenza: in quegli atti giudiziari fatalmente confluisce tutta la massa di informazioni sulle quali pm e polizia giudiziaria sono tenuti a mantenere il segreto durante le indagini. Elementi che neppure il procuratore della Repubblica può divulgare alla stampa. Certo, l’articolo 4 del decreto legislativo, il 188 del 2021, con cui il governo Draghi e l’allora guardasigilli Marta Cartabia hanno introdotto le norme sulla presunzione d’innocenza impone allo steso gip di “limitare”, nei propri atti, i “riferimenti alla colpevolezza” dell’indagato “alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste per l’adozione del provvedimento”. Ma qui entriamo nel campo di un’inevitabile discrezionalità.

E il caso ligure lo ha ampiamente dimostrato: per motivare l’adozione di un provvedimento, il giudice, su input del pm, può facilmente “esondare”. Citare fatti privati. C’è un’opportunità per superare questa contraddizione: avvalersi delle facoltà contenute nella legge delega con cui è stata recepita la direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza, la 53 del 2021: oltre ad aver conferito al governo Draghi il potere di emanare il citato decreto 188, quella legge lascia all’Esecutivo anche la possibilità di approvare ulteriori decreti legislativi per migliore la norme a tutela degli indagati. Ma non è un mandato a tempo indeterminato: la delega scade il prossimo 14 dicembre. Al guardasigilli Carlo Nordio, lo ha ricordato il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, in un’interrogazione presentata alla Camera lo scorso 13 settembre: «La legge sulla presunzione di innocenza impedisce al procuratore di parlare dell’indagine, salvo vi siano questioni di interesse pubblico», aveva ricordato a Montecitorio l’esponente del partito di Calenda. «Ma cosa fanno il procuratore o il pm? Nella richiesta cautelare infilano tutto quello che vorrebbero ma non possono dire. Poi l’ordinanza viene emanata e pubblicata su tutti i giornali: quello che è uscito dalla porta rientra dalla finestra», aveva aggiunto Costa nell’esporre a Nordio l’interrogazione rivoltagli con altri cinque deputati di Azione. «Lei, ministro, lo sa: non può esistere che la vera sentenza sia quella della comunicazione dell’inchiesta, mentre la sentenza vera arriva dopo dieci anni, quando una persona, anche se dichiarata innocente, ha una cicatrice che, ovviamente, non si rimargina». Il guardasigilli non si era mostrato insensibile alla questione: nel rispondere in Aula, aveva assicurato che «la massima attenzione di questo governo e di questo ministero è rivolta al rispetto delle norme finora approvate e, soprattutto, alla possibilità di introdurre opportuni correttivi per superare le ambiguità che esistono ancora nella stessa normativa».

Ecco: ma è il caso di dire “ora o mai più”, considerato che la delega scadrà fra un mese e mezzo, praticamente un’inezia, in tempi di sessione di Bilancio. La norma che rende a tutt’oggi pubblicabili le ordinanze dei gip fu inserita nel decreto legislativo con cui Andrea Orlando diede attuazione alla propria riforma delle intercettazioni, il d.lgs. 216 del 29 dicembre 2017, all’articolo 9. Quella paradossale previsione fu introdotta per bilanciare la stretta che la riforma Orlando imponeva sugli “ascolti”. Ma le ordinanze dei gip sono provvedimenti impugnabili dalla difesa, oltre che dalla Procura, dunque assolutamente suscettibili di censure in ben due eventuali gradi successivi di giudizio. Mettere quegli atti a disposizione dei giornalisti significa consegnare un’arma formidabile nelle mani di chiunque voglia allestire la solita gogna. Ma c’è come detto quel termine ormai ravvicinatissimo, il 14 dicembre, per introdurre il correttivo sollecitato da Azione, il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari. C’è, per giunta, anche l’impegno del governo a provvedere, assunto non solo in via generale con la risposta di Nordio all’interrogazione di Costa ma anche in termini formali, con l’accoglimento di un’ordine del giorno presentato a inizio ottobre dallo stesso Costa e votato alla Camera anche dal centrodestra. Se si lascia passare l’opportunità lasciata aperta dalla legge del 2021, la modifica dovrà essere recuperata all’interno di un altro provvedimento, con tutte le incognite del caso. Perdere l’occasione sarebbe insensato.