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«Ha rivolto un apprezzamento alla mia fidanzata». E cosi il 32enne di origini campane a passeggio per corso Umberto, via centralissima di Civitanova Marche, ha emesso una sentenza di morte per Alika Ogorchukwu. Ha preso la stampella con cui il 39enne ambulante nigeriano si aiutava a camminare, lo ha colpito così tante volte sulla testa da fracassergliela.
Ieri, alle 2 di pomeriggio, sotto gli occhi di tutti. Dopo, l’omicida è fuggito. È stato rintracciato in pochi minuti dalla polizia.
È un orrore. Che assomiglia ad altri.
Ma di cui, fra tante cose terribili, colpisce quella frase che il responsabile ha usato per spiegare la violenza: «L’ha importunata». Non farà testo, non farà media, non farà statistica. Ma la banalità di questo male deve far riflettere. Anche i partiti che sono già in piena campagna elettorale. Deve suggerire due pensieri. Il primo è che della violenza, e degli ultimi, bisogna parlare sempre con senso di responsabilità. Fermare la brutalità dei singoli è impossibile, ma si può trasmettere un’idea di normalità un po’ diversa da quella del 32enne di Civitanova Marche. La seconda cosa su cui riflettere, è che la violenza è contagiosa e la puoi trasmettere in tanti modi. Anche con un linguaggio sopra le righe. Scontrarsi, in politica, è indispensabile. Ma è indispensabile anche distinguere il tono del conflitto da quello della violenza. Starci attenti aiuta, è un esempio necessario.
Alika è morto sotto i colpi di quella stampella. Sono arrivati i soccorsi della Croce gialla ma non hanno potuto fare nulla. Era conosciutissimo, lì al corso di Civitanova. Usava la stampella dopo essere rimasto ferito in un incidente, un investimento per strada. Aveva una moglie e un figlio. È vittima di una normalità alterata. Anche la politica deve smetterla di considerare normali le alterazioni del proprio linguaggio. Non può essere considerata responsabile delle mostruosità dei singoli. Ma può avere il merito di dimostrare che un modo diverso di rivolgersi all’altro è davvero possibile.