Era un verdetto già scritto quello sul caso di Alex, il ragazzo condannato a sei anni, due mesi e venti giorni dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino per aver ucciso il padre violento.

I fatti risalgono al 30 aprile 2020: secondo la ricostruzione cristallizzata nella sentenza di primo grado, quella sera Alex, appena maggiorenne, aveva ingaggiato una «lotta per la sopravvivenza» con suo padre, Giuseppe Pompa, al quale ha inferto 34 coltellate per difendere se stesso e sua madre dall’ennesima aggressione dell’uomo, nella loro casa di Collegno.

Dopo l’assoluzione per legittima difesa, i giudici di appello hanno ribaltato la sentenza di primo grado e ritenuto il ragazzo colpevole di omicidio volontario. Considerata anche la semi infermità mentale accertata da una perizia psichiatrica disposta nei confronti di Alex, il pm aveva chiesto inizialmente 14 anni. La Corte però, ritenendo la pena eccessiva, aveva sollevato - su richiesta della difesa, e con l’avallo della pubblica accusa - una questione di legittimità relativa alla norma introdotta con il Codice Rosso, che nei casi in cui sussista il vincolo di parentela vieta la possibilità di dichiarare la prevalenza di alcune attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio. Questione poi accolta a fine ottobre con la sentenza 197 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l’ultimo comma dell’articolo 577 del codice penale, aprendo la strada a uno sconto di pena. Per la Consulta, i giudici devono poter valutare caso per caso, in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche. Come nella vicenda di Alex, che nel frattempo ha deciso di rifiutare il cognome paterno per assumere quello materno, Cotoia.

Si arriva quindi alla sentenza pronunciata oggi, con la quale la Corte ha rideterminato la pena, secondo la nuova richiesta del pm, e disposto la trasmissione degli atti in procura perché si valutino le testimonianze della mamma e del fratello di Alex. «Sarei stata l’ennesima donna ammazzata, io non sarei qua. Importa a qualcuno? Mio figlio quella sera mi ha salvato la vita», sono le prime parole della donna riportate da Repubblica dopo la lettura della sentenza. «Le donne continueranno a morire e questa oggi è una sconfitta per tutti: senza di lui noi non saremmo qua, Alex ha agito per legittima difesa, e noi andremo avanti fino alla fine», è lo sfogo del fratello. Che insieme alla mamma era già stato sentito in primo grado e giudicato affidabile. «Siamo passati da un’assoluzione in primo grado a una condanna con richiesta di trasmissione degli atti per valutare le dichiarazioni della madre e del fratello - ha commentato l’avvocato del giovane, Claudio Strata - è una scelta incomprensibile, molto difficile da accettare. Leggeremo le motivazioni e valuteremo cosa fare: sicuramente l’ultima parola spetta alla Corte di Cassazione».