Una professionista, non un ingranaggio occulto di un presunto sistema. È così che l’avvocato Franco Libori ha illustrato la posizione di Imelda Bonaretti, la psicologa imputata nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, per la quale la pm Valentina Salvi ha chiesto una condanna a sei anni e sei mesi. Libori, affiancato dal collega Franco Mazza, ha depositato una memoria di circa 700 pagine, con la quale non solo ha contestato le accuse, ma ha ribadito con fermezza che l’unico scopo di Bonaretti «è sempre stato comprendere il disagio dei minori». In aula, Bonaretti aveva dichiarato di non aver «mai manipolato un minore né falsificato prove: ogni mio atto è stato trasparente, tracciabile, motivato dal solo intento di comprendere e curare il disagio psicologico della bambina».

Il disegno e “la domanda suggestiva”

Tra i principali addebiti, quello di aver falsificato il disegno di una bambina – che a scuola aveva riferito di sentire la mancanza del «sesso» con il compagno della madre – e di averla condizionata, a seguito dello stesso, con una domanda suggestiva sul presunto abuso subito. Libori ha dunque rivendicato la trasparenza di Bonaretti, che nella sua relazione aveva personalmente annotato di aver posto una domanda suggestiva, cosa che «se avesse voluto ingannare i giudici non avrebbe mai fatto». La psicologa aveva affermato di non aver mai preparato A. (la bambina) a dire certe cose. «L’ho preparata ad affrontare un ambiente giuridico – aveva spiegato –, non un copione». Anzi, ha sottolineato, «se avessi voluto convincere contro ogni ragionevole dubbio il pm della veridicità dell'abuso, non avrei certo scritto una segnalazione in cui dichiaravo al pm che avevo fatto una domanda suggestiva e che quei disegni A. li aveva prodotti su mia richiesta (scrivendo anche l’invito che le feci in proposito) – aveva chiarito –. Già il fatto che è stato riportato chiaramente il modo in cui è stata raccolta la rivelazione dell’abuso, dovrebbe togliere ogni dubbio rispetto al fatto che ci fossero intenti mistificatori. Anzi, l’unica cosa che se ne può dedurre è la trasparenza nel fornire al giudice ogni elemento utile a valutare il luogo a procedere o no. E il pm tali elementi li assunse, sgridandomi per il ricorso alla domanda “suggestiva”».

Analisi tecniche sul disegno: «Nessuna falsificazione»

Il nodo cruciale riguarda, dunque, la presunta aggiunta delle mani al disegno – diffuso sulla stampa orientato in verticale e eliminando una parte fondamentale dello stesso, il letto su cui era stesa una bambina con addosso un adulto – con lo scopo di suggerire un abuso. Una suggestione bollata dalla difesa come illogica. «Non conosceva nemmeno il compagno della madre, perché avrebbe dovuto costruire un’accusa falsa contro di lui?», ha affermato Libori, che ha sottolineato come non è stato contestato nemmeno l’abuso d’ufficio. Inoltre, A. stessa ha ribadito in sede di audizione che la rivelazione è stata spontanea e non frutto di pressioni e di non essere mai stata indotta a riferire nulla. La bambina lo disegnò da sola, facendo diverse pause e cancellature e scusandosi esplicitamente per non essere capace a disegnare le mani. L’ipotesi che Bonaretti abbia aggiunto di sua mano le braccia o le mani è non solo infondata, ha aggiunto il legale, ma smentita da analisi tecniche (Calvarese e Wellmann) che riconducono il disegno ad A. stessa. La stessa consulente grafologa indicata dalla pm ha parlato solo di “possibili sovrapposizioni”, ma non di aggiunte estranee alla bambina, smentendo qualsiasi certezza di falsificazione. In sede di arringa, Salvi aveva contestato la consulente della difesa, indicandola come non iscritta all’albo. Ma Libori ha evidenziato che non esiste né un albo né un codice deontologico per i grafologi e che le linee guida delle associazioni sono solo indicazioni non vincolanti. Inoltre, nessuna di queste riguarda l’analisi dei disegni infantili, ma solo la scrittura.

Nessun riferimento sessuale nei documenti: «Interpretazione unilaterale della procura»

Bonaretti, inoltre, non ha mai attribuito al disegno una valenza sessuale: in tutti gli scritti indirizzati all’autorità giudiziaria, infatti, non viene mai menzionato il concetto di abuso sessuale in riferimento al disegno, né vengono evidenziati particolari “sessualizzati”. Questa interpretazione, dunque, «nasce solo dalla lettura dell’accusa», anche perché «le mani nel disegno erano sul bordo del letto, non sull’area genitale». Alla pm, ha evidenziato Libori, «deve essere sfuggito qualche contenuto del provvedimento del Tribunale per i Minorenni: si parla di dichiarazioni della bambina in ambito scolastico e non si fa minimamente riferimento né al disegno né a contenuti segnalati da Bonaretti». Piuttosto, si sottolinea come l’intento di Bonaretti fosse esclusivamente quello di comprendere il disagio della minore, accogliendo la segnalazione della nonna e supportandola in un momento di crisi. «Non basta che il soggetto scriva una determinata frase, ma deve essere accettato che vi sia una volontà di falsificare la realtà – ha sottolineato il legale –. Quello che ha scritto Bonaretti corrisponde a quello che, a suo avviso, era la realtà dei fatti. Anche dagli appunti delle sedute si evince questo e il tentativo di riportare al meglio quanto detto dai minori. Un professionista può sbagliare una valutazione – ha evidenziato Libori –, ma un errore non è una falsità». Nessun intento doloso, dunque, ma un agire da clinica che può eventualmente avere commesso errori di metodo, «mai di verità». La psicologa ha spiegato che i disegni erano stati introdotti nella seduta a seguito delle difficoltà espressive della bambina, e in quel contesto è stata posta anche una domanda diretta. Ma «era tutto scritto» e trasmesso al giudice. In ogni caso, ha affermato Libori, «le valutazioni cliniche possono anche risultare sbagliate, ma non per questo sono false».

Il rientro a casa nel 2017 e il mancato ruolo nell’allontanamento

In ogni caso, Bonaretti non ha mai chiesto, proposto o organizzato l’allontanamento della minore A. dalla famiglia, tentando anzi di ricostruire un “ponte” con i nonni. All’epoca della rivelazione, la psicologa era in carico solo per un consulto clinico, richiesto dalla nonna stessa, non dai servizi sociali. E la sospensione della terapia psicologica nel settembre 2017 non avvenne perché ritenuta del tutto inutile, ma perché Bonaretti, in assenza di informazioni dalla famiglia sui problemi del padre della minore, ritenne più indicato un diverso tipo di intervento, come la terapia psicomotoria. Durante l’incontro di restituzione del 20 ottobre 2017, infatti, furono sollecitati la madre e i nonni a prendersi maggiore cura della bambina e a offrirle un supporto adeguato, anche sul piano narrativo riguardo all’adozione del padre. La restituzione, dunque, non fu una chiusura ottimistica del percorso, bensì un invito ad attivare altri strumenti di supporto non più praticabili nello spazio psicoterapeutico allora disponibile.

Il reato di depistaggio non sussiste: mancano i presupposti

Per quanto riguarda il reato di depistaggio, infine, è necessaria una correlazione diretta tra l’attività svolta dal soggetto e un’indagine penale effettivamente in corso, che risulti ostacolata da tale condotta. La giurisprudenza chiarisce inoltre che la condotta depistante deve interferire con un’indagine già avviata, e non può riguardare atti o iniziative pre-procedimentali. Il reato, dunque, non sussiste. Nel caso in esame, la stessa accusa ha sostenuto che l’alterazione del disegno (se avvenuta) avrebbe avuto come scopo quello di sollecitare l’avvio di un’indagine, non di deviarne una in corso. Pertanto, manca l’elemento oggettivo del reato e il fatto non può considerarsi sussistente. Ma in generale, mancano prove concrete per sostenere le accuse di dolo o falsificazione dei fatti. Le testimonianze, i documenti e le prove raccolte confermano che il comportamento di Bonaretti era coerente con le linee guida professionali. Non ci sono elementi che possano dimostrare che abbia alterato il disegno o manipolato le dichiarazioni di A., ha spiegato Libori: la psicologa è stata sempre attenta a segnalare correttamente gli sviluppi delle sedute e a documentare tutte le sue azioni. Da qui la richiesta di assoluzione da ogni accusa, perché il fatto non sussiste o non è stato compiuto da Bonaretti.