Nella sua relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, Il Presidente Giuseppe Meliadò ha osservato che le pendenze della Corte di appello di Roma (pari a circa 40.000 processi civili e del lavoro e a 50.000 processi penali), e che costituiscono da sole circa il 20% delle complessive pendenze civili e penali nazionali, trasformano il problema del numero dei processi della Corte capitolina in una questione giudiziaria nazionale, imponendo l’immediato aumento degli organici di questo ufficio quale uno dei principali snodi del cambiamento dell’organizzazione giudiziaria italiana.

Sarebbe illusorio pensare, ad avviso del presidente Meliadò, che lo stesso effetto possa essere conseguito solo attraverso la costituzione, in esecuzione degli obiettivi del PNRR, dell’ufficio per il processo, e cioè attraverso la nuova struttura organizzativa di personale a tempo determinato posta a servizio dei magistrati per velocizzarne l’attività.

Quanto allo stato della giustizia civile, nel primo anno successivo all’allentamento della crisi sanitaria, deve riscontrarsi, insieme ad un generalizzato aumento della domanda di giustizia, un significativo aumento della produttività e un altrettanto significativo abbattimento dell’arretrato (-5,2% e -15,2% rispettivamente le pendenze del settore civile e del lavoro della Corte; -3,1% e -19,9% rispettivamente le pendenze civili e delle procedure esecutive dei Tribunali del distretto) che testimoniano la crescente attenzione dei giudici civili, a Roma e nel Lazio, per le strategie di riduzione dell’arretrato.

Particolarmente significativo è, tanto in primo che in secondo grado, l’aumento della richiesta di giustizia, e quindi delle nuove iscrizioni (rispettivamente +9 % e +3 %), e la loro dislocazione, che dimostra lo stato di sofferenza di importanti segmenti del tessuto economico e sociale, se si pensa che, presso i Tribunali del distretto, le controversie di lavoro diminuiscono del 10,5 %, mentre aumentano del 34.3 % le richieste di prestazioni previdenziali, così come aumentano del 14,2 % le procedure di esecuzioni immobiliari e del 6,2 % i fallimenti.

Quanto allo stato della giustizia penale, rileva il Presidente che il numero dei processi con oltre trenta imputati celebrati nell’anno decorso (sono 32 solo presso il Tribunale di Roma e 45 complessivamente nel distretto) conferma il peso crescente assunto nel distretto dai reati associativi e di criminalità organizzata.

Gli stanziamenti milionari previsti per la realizzazione degli obiettivi del PNRR e le ingenti risorse che affluiranno a Roma in vista del Giubileo rendono concreto il pericolo di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata: una macchina burocratica lenta e farraginosa è il principale terreno di coltura di tali pericoli, un virtuoso equilibrio fra celerità, trasparenza nell’affidamento delle risorse ed effettività dei controlli, specie preventivi ne è il principale antidoto.

Tanto in primo che in secondo grado continua, per il resto, a registrarsi un costante aumento dei flussi dei reati contro la persona, in particolare dei reati contro le donne, che costituiscono nel Tribunale di Roma il 26% delle imputazioni complessivamente pervenute a giudizio; un aumento e un aggravamento delle rapine e dei furti in appartamento e una allarmante diffusione dei reati predatori, in particolare, ai danni di anziani all’interno delle abitazioni private; tra le condotte di maggiore allarme sociale si evidenziano anche le estorsioni, così come, per le ripercussioni ambientali, il fenomeno delle occupazioni abusive.

Osserva il presidente Meliadò che l’obiettivo della riduzione dei tempi di trattazione dei processi, imposto anche dal PNRR, risente fortemente della pendenza, presso la Corte d’appello di Roma, di una quantità imponente di procedimenti penali (circa 50.000), nonostante che, con un aumento delle definizioni del 12 %, si sia cercato di fronteggiare un aumento delle sopravvenienze del 25,6%.

Non aiutano, tuttavia, nel recupero dei tempi e dell’arretrato della giustizia penale i più recenti interventi normativi, ed in particolare il regime dell’improcedibilità (con la conseguente necessaria definizione entro il biennio dei processi che riguardano tutti i reati commessi dal primo gennaio 2020) introdotto dalla legge 27 settembre 2021, n.134 (c.d. Riforma Cartabia), che desta gravi preoccupazioni nella Corte di appello di Roma; preoccupazioni che si accentuano con il passare del tempo e con la progressiva concreta attuazione della riforma.

E, infatti, sta continuamente aumentando il flusso dei processi con priorità di trattazione, sol perché relativi a reati commessi dal primo gennaio 2020, e diminuisce, in parallelo, la possibilità di definire i procedimenti per reati commessi in tempi ben più datati, ed anche se più gravi per la natura delle imputazioni e per l’allarme sociale che producono.

In una realtà quale quella di Roma, ciò potrebbero prevenirsi solo ove si potesse eliminare in tempi ravvicinati, grazie a un aumento straordinario dell’organico della Corte, l’arretrato nel tempo sedimentatosi, facendo decollare la riforma con minime giacenze. Diversamente, nell’arco di pochi anni, la riforma rischia di produrre effetti sicuramente paralizzanti per la giurisdizione penale.