La delibera con la quale il Csm ammetteva di aver ingiustamente penalizzato Marco Mescolini, ex procuratore di Reggio Emilia, era chiara: nessun elemento dimostra o ha mai dimostrato l’incompatibilità con l’ambiente in cui lavorava. Anzi, le accuse di vicinanza ad alcuni ambienti politici e di scarso equilibrio avevano provocato indignazione in Tribunale, tra gli avvocati, i membri della polizia giudiziaria e pure tra i magistrati inquirenti del distretto, ad eccezione delle quattro pm che hanno presentato l’esposto nei suoi confronti. Una vicenda, scriveva il Consiglio di Stato, che «si presta, piuttosto, a essere interpretata come una manovra nettamente politica di esponenti che avevano pensato di individuare nell’appellante ( Mescolini, ndr) un avversario, per così dire, “politico”».

A distanza di quattro anni dall’illegittimo trasferimento d’ufficio, annullato prima dal Consiglio di Stato e poi archiviato definitivamente anche dal Csm, Mescolini - attualmente procuratore di Pesaro come “risarcimento” per la poltrona sottrattagli ingiustamente - presenta ora il conto, con un ricorso al Tar del Lazio per ottenere il risarcimento danni. Il danno alla reputazione è stato calcolato in una somma non inferiore a 500.000 euro, considerando il forte impatto mediatico che la vicenda ha avuto dal 2021, finita non solo sui giornali, ma anche in vari libri. Da qui una richiesta simbolica «di 2.000 euro ad articolo - circa 200 sulla sola rassegna del Csm, ndr - e libro che ha riportato la notizia dal 2021 al 2024». Mentre i danni patrimoniali sono quantificati in 43.825,47 euro, per le spese sostenute dal 2021 ad oggi. Spese come affitto e utenze per l’appartamento a Firenze, dove era stato trasferito e declassato al ruolo di sostituto procuratore.

A inguaiare il magistrato era stato un esposto di quattro pm, Isabella Chiesi, Maria Rita Pantani, Valentina Salvi e Giulia Stignani. Le quattro magistrate avevano sollevato preoccupazioni dopo la pubblicazione delle chat tra Mescolini e l’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara. Nonostante il procedimento disciplinare fosse stato chiuso con un’archiviazione, le pm avevano dichiarato di non sentirsi più in grado di lavorare con serenità, accusando Mescolini di aver compromesso la credibilità e l’indipendenza dell’istituzione e testimoniando una insofferenza generalizzata nei suoi confronti da parte dell’intero ambiente giudiziario.

Parole accolte senza beneficio del dubbio dal Csm, che ne aveva dunque dichiarato l’incompatibilità non solo rispetto a Reggio Emilia, ma addirittura rispetto all’intero distretto giudiziario - cosa non contemplata dalla normativa -, spendendolo in Toscana. La decisione fu poi impugnata da Mescolini che ottenne ragione davanti al Consiglio di Stato, con una decisione pesantissima: le indagini del Csm, scrivevano i giudici di Palazzo Spada, erano state «parziali e non del tutto complete» e prive di «corredo probatorio» sufficiente. Una manovra più politica, appunto, considerando che gli altri sostituti non avevano manifestato alcun problema con il procuratore. Nonostante ciò, il Csm aveva disposto

il trasferimento di Mescolini pur avendo elementi che contraddicevano le accuse. Illegittimamente, dunque. La verità era emersa dopo la bocciatura del Consiglio di Stato, quando il Csm ascoltò, tra gli altri, anche Cristina Beretti, presidente del Tribunale di Reggio Emilia, che ha chiarito come la divulgazione delle chat con Palamara non aveva messo in discussione l’imparzialità di Mescolini, mentre il suo trasferimento aveva generato disorientamento e perplessità tra i colleghi del Tribunale, alcuni dei quali avevano manifestato solidarietà a Mescolini, che aveva ricevuto anche il supporto della società civile, con una lettera firmata da oltre 100 persone. E dopo il suo allontanamento, sotto casa sua, erano apparse scritte di ringraziamento ad una delle magistrate firmatarie dell’esposto contro il procuratore, ovvero la pm Salvi.

Abnorme è risultata soprattutto la decisione di vietare al magistrato una poltrona nell’intero distretto di Bologna, una scelta, per il Consiglio di Stato, che «denotava una grave negligenza ed imperizia del Csm, con violazione del principio di inamovibilità dei magistrati attraverso la previsione di un’incompatibilità distrettuale non contemplata dall’ordinamento».

Da parte del Csm, secondo Mescolini, si configurerebbe una «colpa grave» : senza l’immotivato trasferimento a Firenze, infatti, il magistrato avrebbe maturato - a luglio 2023 - gli anni di anzianità di servizio necessari per poter ambire alla poltrona di procuratore in uffici di grandi dimensioni o presso la Direzione nazionale antimafia. In questi anni, invece, non solo è stato lontano dalla famiglia - rimasta a Bologna -, ma ha anche dovuto svolgere funzioni di sostituto, con danni irrimediabili in termini di chances di carriera e reputazione, non avendo potuto partecipare ad alcun concorso interno, richiedere l’avanzamento nelle valutazioni né presentare domande di trasferimento.

Nei fatti, dunque, Mescolini ha perso 5 anni e 10 mesi di anzianità di carriera, il tutto per una mossa «politica», che gli renderà più difficile «ambire ad incarichi direttivi superiori». Proprio per tale motivo, oltre al risarcimento danni, Mescolini ha chiesto, sempre a titolo risarcitorio, «un “riallineamento” della carriera», riconoscendogli l’intera anzianità di servizio maturata prima a Reggio Emilia e poi a Firenze, o, al limite, solo quella maturata a Reggio Emilia come procuratore ( da settembre 20218 a marzo 2021), per consentirgli, quantomeno, di partecipare a future procedure selettive senza partire svantaggiato. Una richiesta che ora mette il Csm di fronte a un risarcimento non solo economico, ma anche di credibilità.