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Intervista a Luciano Violante sulla riforma: «C’è da eleggere il Csm e si dice no a tutto»
«Ci sono le elezioni per il Csm. Non me ne vorrà se semplifico, ma è così. C’è soprattutto la corsa a non deludere la base. Ecco perché dai magistrati del Consiglio superiore arriva un no incondizionato alla riforma dell’ordinamento giudiziario. Alcune proposte meritano secondo me un giudizio critico, ma non si può dire no a tutto». Così Luciano Violante spiega la durissima posizione dell’Anm, tentata dallo sciopero, sul ddl all’esame del Parlamento. «Dalle toghe un altolà di stampo elettorale, ma il ddl non basta»
«Ci sono le elezioni per il Csm. Non me ne vorrà se semplifico, ma è così. C’è soprattutto la corsa a non deludere la base. Ecco perché dai magistrati del Consiglio superiore arriva un no incondizionato alla riforma dell’ordinamento giudiziario. Alcune proposte meritano secondo me un giudizio critico, ma non si può dire no a tutto» .
Ecco, presidente Luciano Violante: lei ha iniziato da magistrato, prima di presiedere la Camera dei deputati e imporsi, tra l’altro, come una delle voci più innova- tive, nel dibattito sulla giustizia. Ma cos’è che davvero non va, nella magistratura?
Il legame con i totem e l’orrore per i tabù. Anche qui, non si tratta di psicologismo. Ma è mai possibile che qualunque novità venga interpretata come una lesione dell’autonomia e dell’indipendenza? Ecco il totem: quelle due parole che non possono però diventare motivo per rifiutare qualsiasi riforma e sottrarsi quindi a qualsiasi responsabilità.
E la riforma Cartabia è così inutile o malfatta?
Apprezzo gli sforzi compiuti dalla ministra, e apprezzo alcuni aspetti positivi: penso al doveroso vincolo dell’ordine cronologico nell’attribuire gli incarichi direttivi. Da anni si diceva che avrebbe evitato le nomine a pacchetto, ed è stato previsto. L’esclusione dei consiglieri componenti la sezione disciplinare dalle commissioni che si occupano di incarichi è formulata in modo troppo rigido, ma la si può comprendere. Ma non è solo questo il punto, non si tratta solo di dissentire dalle stroncature incondizionate delle correnti o del Csm: si tratta anche di incapacità di una controproposta costruttiva. Ad esempio, il fascicolo delle performance non è uno strumento adeguato: penso che rischia di portarci fuori strada, perché la giurisdizione non è una statistica verticale. Potrebbe aver sbagliato il giudice che ha assolto, non il pm che ha chiesto la condanna. Ma forse l’Anm avrebbe dovuto mettere sul tavolo soluzioni alternative al fascicolo per risolvere il problema delle valutazioni di professionalità.
E lei cosa avrebbe proposto?
Una commissione esterna al Csm, che giudichi il magistrato dopo i primi quattro anni di attività. Basta quell’intervallo di tempo per comprendere se poi, nel prosieguo della carriera, quel giudice potrà essere all’altezza delle sue responsabilità.
Un’altra soluzione trascurata?
Impegnarsi per dare continuità al Consiglio superiore, sul modello della Corte costituzionale. Cinque componenti togati si sono dimessi nel corso del quadriennio. Chi è subentrato al loro posto, secondo l’articolo 104 della Costituzione ha il diritto di completare il proprio mandato quadrienniale. Quindi si dovrebbe eleggere solo quelli per i quali si è compiuto il quadriennio: in tal modo le prassi dell’organo di autogoverno si sarebbero trasmesse. È un intervento minimo ma prezioso, che si potrà certamente effettuare quando tra qualche mese verrà eletto il nuovo Csm.
La magistratura avrebbe detto no a qualsiasi cosa?
Ripeto: le elezioni per il nuovo Csm sono fortemente condizionanti.
Come c’è finita, la magistratura, in questa crisi? Scomparso il nemico Berlusconi, è arrivato una sorta di liberi tutti, una perdita di coesione?
In parte è vero: sotto i colpi di un avversario che ha straordinari mezzi di comunicazione e finanziari, è chiaro che ti ricompatti. Dopo quella fase, si è creato un meccanismo che ha indotto nella magistratura un’autogestione atipica: poiché dalla politica non arrivavano che leggi penali confuse, libere deleghe a inquisire, la magistratura penale, soprattutto le procure, si è trovata fra le mani un potere eccessivo. I meno sensibili ai limiti della professione hanno ritenuto di poterlo gestire al di fuori di ogni responsabilità.
Quindi è stata colpa anche, se non soprattutto, della politica?
Insisto su un concetto: la sovranità. Il potere politico, il Parlamento, o è sovrano o non è. Vuol dire che deve assicurare le regole e costruire un ordine costituzionale. E invece la politica negli anni scorsi non ha dato regole e ha creato disordine. Al panorama va aggiunta una componente.
Quale?
I mezzi di comunicazione: ecco, il magistrato inquirente sembra investito della responsabilità di trovare non colpevoli, ma peccatori.
Mamma mia.
Però invito a non sottovalutare le componenti della magistratura che sono del tutto distanti dal conservatorismo dei vertici dell’Anm: penso al gruppo riunito attorno alla rivista Giustizia insieme. Naturalmente settori del genere, attenti alla cultura della professione, all’identità del magistrato, hanno un approccio critico più aperto ma anche nessuna intenzione di entrare nel conflitto fra le correnti.
Davvero non salva nulla, della proposta sul fascicolo delle performance?
Si vuole individuare il pubblico ministero che ricorre con eccessiva frequenza contro le assoluzioni in primo grado: e se invece di trovarci di fronte a un magistrato che ricorre troppo, fossero invece quei giudici ad assolvere troppo? No, non credo alla statistica utilizzata in termini del genere. Ma come dicevo, altre possibilità esistono, alcune non sono state considerate nella riforma in discussione, e certamente la magistratura non può ritenere che ogni tentativo di valutare la professionalità costituisca una lesione dell’autonomia e dell’indipendenza. L’indipendenza sta insieme alla responsabilità. Senza, è anarchia. Non si tratterebbe più di un potere costituzionale, ma di un potere dispotico.
Il suo giudizio sul testo Cartabia è in chiaroscuro, è così?
Apprezzo l’impegno della ministra. Ma, come dice un mio amico sacerdote, si dice messa con i preti che ci sono.
E il no di Anm e Csm alle sanzioni per chi viola le norme sulla presunzione d’innocenza?
Forse l’illecito disciplinare andrebbe circostanziato meglio, ma una cosa è certa: non è più possibile assistere a quelle conferenze stampa in cui si scolpisce l’identikit del mostro per poi scoprire dopo un paio d’anni che si trattava di un innocente. Certo, servirebbe anche uno scatto di autodisciplina da parte di voi giornalisti. Sui casi di violenza sessuale, per esempio, ci siete riusciti.
Ma con la corruzione è improbabile.
Sembrerà irrealistico: ma le grandi trasformazioni si compiono a partire dalle cose apparentemente irrealistiche.
Eccezion fatta per voci autorevoli come Canzio, Pignatone o Spataro, il no dei magistrati è compatto anche sul voto degli avvocati nei Consigli giudiziari.
E invece a me sembra una norma corretta. Soprattutto nella nuova formulazione. Se si esprime collegialmente il Consiglio dell’Ordine, la riforma è positiva. Avviene nelle università americane, per esempio: gli studenti valutano la qualità delle lezioni. Nel caso dei Consigli giudiziari e delle valutazioni di professionalità sui giudici, la parte togata, maggioritaria, avrebbe tutto il modo di dimostrare l’insussistenza di eventuali giudizi critici da parte del Foro.